Oggi è il 6 agosto 2020. Sono passati 75 anni. Siamo davanti alla base Usaf di Aviano. Già da molti anni, il 6 o il 9 agosto, ci ritroviamo qui davanti. Sono gli anniversari dei bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki dell’estate del 1945. In questa base, ancora oggi, sono custodite delle armi nucleari.

In queste occasioni ricordiamo sempre le storie dei sopravvissuti delle due città giapponesi, gli Hibakusha, uomini e donne che hanno dedicato le loro vite a far sì che nessun altro debba mai soffrire ciò che hanno vissuto loro. Non ci potrà mai essere giustificazione alcuna per l’uso di armi come queste. Non si tratta di armi che, se usate male, possono causare vittime civili. Si tratta delle uniche armi esplosive progettate non per l’uso sul campo di battaglia, ma per distruggere le città e i civili che le abitano.

La memoria è il punto di partenza. Ma è l’attualità che ci preme. Anche gli Hibakusha partono dai loro ricordi per mettere tutte le loro energie nella lotta per la messa al bando delle armi nucleari. Ed è per questo che, come partecipanti ad Aviano, vogliamo mandare un messaggio ai giovani, perché di mezzo c’è il futuro.

Negli anni le nostre azioni di movimenti per la pace e il disarmo hanno avuto alti e bassi. Chi di noi ha qualche anno in più ricorda ancora il periodo esaltante, degli anni 80, quando si unirono movimenti dal basso in Europa, a est e a ovest del Muro di Berlino (che c’era ancora), in un vasto movimento che portò all’eliminazione degli euromissili e a importanti riduzioni di armamenti. Per la prima volta si iniziò a capire che la sicurezza non poteva essere contro qualcuno, ma che doveva essere «comune» e inclusiva.

E ancora negli ultimi anni abbiamo avuto periodi che hanno rafforzato gli strumenti giuridici per il disarmo: la messa al bando delle mine antipersona, delle munizioni a grappolo, il trattato per il controllo internazionale sul commercio degli armamenti. Tutte campagne partite dal basso, con la forza tipica dei movimenti di società civile, che penetrano la cultura condivisa, la arricchiscono e ne diventano pilastri fondamentali.

Certo, a partire dal 2001, le nostre campagne sono state più in salita. Mai come oggi, però, ci siamo trovati in un frangente così pieno di pericoli. A gennaio gli scienziati atomici hanno posizionato le lancette del loro Orologio dell’Apocalisse a soli 100 secondi dalla mezzanotte: mai avevano dichiarato una tale situazione di pericolo, nemmeno al culmine della Guerra Fredda. Hanno giustificato l’allarme mettendo insieme il fallimento degli accordi sul clima con lo smantellamento (da parte di Trump) dei trattati internazionali sul controllo degli armamenti. E da gennaio le tensioni internazionali si sono acuite. Pensiamo agli scontri tra India e Cina, combattuti all’arma bianca, ma tra due potenze nucleari. E le schermaglie in Kashmir, tra India e Pakistan (possiede la bomba anche il Pakistan).

Qui, davanti alla base con le armi nucleari, però non possiamo lasciarci avvilire dalle pessime notizie. Abbiamo ancora un compito importante. Ci siamo impegnati per costruire una grande coalizione che arrivi a far mettere al bando le armi nucleari. Siamo movimenti e gruppi organizzati in oltre 500 Stati, abbiamo dalla nostra circa due terzi degli Stati membri delle Nazioni Unite. Il testo del Trattato che proibisce le armi nucleari (TpnW) è stato approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2017, e in quello stesso anno la nostra Coalizione Ican ha vinto anche il Premio Nobel. Il TpnW entrerà in vigore quando verrà ratificato da 50 Stati e siamo già a 40. Vogliamo raggiungere la cifra necessaria entro l’anno.

E noi, qui in Italia, abbiamo un compito ancora più speciale. Siamo in tanti (associazioni, comitati, movimenti, parrocchie, molti consigli comunali e tanti sindaci, e decine di migliaia di cittadini) che abbiamo aderito alla campagna «Italia, ripensaci». Chiediamo al governo italiano di esprimersi a favore del TpnW. Da quando si è iniziato all’Onu il dibattito sul TpnW nel 2016, in ogni occasione ufficiale l’Italia ha sempre appoggiato la posizione dei membri della Nato. Noi crediamo che la cultura, la tradizione, la storia della Repubblica italiana impongano un ragionamento diverso. Non può essere la logica di un’alleanza militare a dettarci decisioni immorali e illegali, le ragioni militari non possono prevalere sulla responsabilità comune di fronte alla vita, all’umanità.

Anche se non venissero mai usate, le armi nucleari ci impongono un modello di relazioni internazionali fondate sulla paura, sulla minaccia dell’annientamento. Ecco il motivo ultimo per cui vanno messe al bando e per cui l’Italia deve finalmente scegliere di stare dalla parte giusta della storia dell’umanità. «Italia, ripensaci».

L’autrice fa parte di Beati i costruttori di pace / Rete Italiana per il Disarmo