Due manovre finanziarie opposte in tema di editoria, al di là e al di qua dell’oceano.

In Italia, il governo Lega-5 Stelle ha deciso la cancellazione dei contributi diretti per i giornali a partire dal 2022 e forti tagli già a partire da quest’anno.

In Canada, invece, il governo liberale ha rotto un tabù: con l’ultimo budget ha stanziato 595 milioni di dollari canadesi (400 milioni di euro) in cinque anni per sostenere la stampa nazionale, gravemente in crisi nella versione cartacea e sofferente anche nella versione digitale a causa dell’enorme concorrenza dei media statunitensi, più noti, più grandi e più strutturati di quelli canadesi (solo il New York Times conta oltre 100mila abbonati oltreconfine).

Già nel budget 2018, con uno stanziamento di 50 milioni di dollari canadesi (33 milioni di euro) , il governo di Ottawa aveva dato un aiuto, anche se limitato solo alla stampa locale.

Ma quest’anno decuplica e rilancia.

Finora in Nord America il tema del sostegno pubblico ai giornali era quasi una bestemmia, al massimo si affidava ai filantropi il compito di intervenire nei casi di fallimento di mercato. Che sono però ormai troppi per poter dire che il mercato seleziona ciò che serve ed è meritevole.

Perfino da quelle parti ormai si sono resi conto che l’intervento pubblico serve. E deve essere saggio. Questo nonostante il mecenatismo a favore del giornalismo stia conoscendo una sorta di boom.

Nei soli Stati uniti l’anno scorso le 188 testate qualificate come non profit (tra le più importanti ci sono The Texas Tribune e ProPublica) hanno ricevuto donazioni per oltre 350 milioni di dollari e impiegano oltre 2.200 giornalisti in un settore che dieci anni fa nemmeno esisteva.

Così, per la prima volta, il governo canadese ha varato una serie di strumenti per sostenere direttamente i giornali nazionali e la produzione di informazione giornalistica.

Visto che il governo italiano – subito dopo aver deciso i tagli – ha avviato gli stati generali dell’editoria, è utile raccontare invece cosa accade Oltreoceano.

L’aiuto diretto ai giornali generalisti

Primo: ci sarà una commissione indipendente composta da giornalisti (che già si scannano per farne parte) che si occuperà di «certificare» in un elenco le testate che producono informazione giornalistica generale (non specialistica) e che possono accedere ai contributi pubblici. Queste testate diventeranno Qualified Canadian Journalism Organization (Qcjo).

Sono escluse per legge testate che si occupano solo di industria, sport, divertimento, lifestyle e intrattenimento.

Tra i requisiti necessari, oltre al contenuto giornalistico originale e di interesse generale, anche il controllo proprietario.

Devono essere giornali posseduti almeno al 75% da cittadini canadesi, devono avere la sede in Canada e devono essere gestiti, amministrati e diretti da canadesi.

Qualche paletto minimo anche sull’occupazione: devono impiegare almeno 2 giornalisti che lavorano direttamente in redazione.

Saranno espulsi i giornali che promuovono interessi privati o puramente commerciali e quelli che producono contenuti per il governo o altre amministrazioni pubbliche.

Una volta nell’elenco, gli editori di questi giornali potranno usufruire per un periodo limitato (in alcuni casi fino al 2025, in altri fino al 2024) di due benefìci rilevanti.

Il primo beneficio è un credito di imposta del 25% sul salario di ogni giornalista assunto che lavori almeno 26 ore a settimana con un tetto massimo di 13.750 dollari canadesi (9.200 euro). Da questo beneficio sono escluse radio e tv (tutti i broadcaster). L’occupazione giornalistica è andata a picco anche in Canada: negli ultimi dieci anni le redazioni si sono ridotte di più di un terzo.

Il fondo totale per questo sgravio è di 360 milioni di dollari canadesi (240 milioni di euro) in cinque anni.

Il secondo beneficio incentiva i privati a sostenere il giornalismo non profit. Le testate certificate, infatti, possono registrarsi in un elenco simile a quello delle nostre onlus e potranno ricevere donazioni che possono essere detratte come credito di imposta da parte dei donatori.

Ci sono ovviamente alcuni paletti: per ricevere donazioni devono avere statuti parzialmente non profit, cioè non possono distribuire né dividendi né profitti a persone comunque collegate con l’impresa. Devono essere amministrate da un consiglio di persone che non hanno altri collegamenti tra di loro e non possono essere controllate da una singola persona o gruppo.

Inoltre, le donazioni da un singolo donatore non possono superare il 20% del totale delle donazioni ricevute e gli editori dovranno rendere pubblici i nomi di tutti i donatori superiori a 5mila dollari canadesi (3.300 euro).

Per sostenere questa misura il governo ha stanziato 96 milioni di dollari canadesi (64 milioni di euro) nel quinquennio.

I critici non mancano

Ci siamo un po’ dilungati anche nei tecnicismi di queste misure perché è utile anche capire la difficoltà di intervenire in questa materia senza sfiorare o peggio ledere l’autonomia del mondo dell’informazione.

Tra le critiche principali al governo molte sono nel merito: l’assenza di requisiti di innovazione per gli editori beneficiari, l’assenza di un tetto totale al contributo per i giornalisti, la scelta di un complicato credito di imposta per gli abbonamenti digitali (vedi qui) invece di un facile azzeramento dell’Iva, maglie troppo larghe per definirsi una testata non profit (per esempio senza parametri sul rapporto tra giornalisti assunti e resto del personale), l’assenza di criteri per la scelta dei giornalisti da inserire nel «panel certificatore», la sostanziale neutralità dell’intervento pubblico scelto rispetto alle distorsioni e alla crisi del mercato editoriale (contributi a pioggia).

Nel metodo invece sono state più prevedibili. I critici più feroci sono quelli che equiparano il sostegno pubblico al «comprarsi» le pagine da parte del governo: una ferita all’autonomia della stampa e dunque alla sua credibilità presso il pubblico.

Quest’ultimo punto è il più facile da dire ma anche da eliminare.

I critici dell’intervento pubblico dovrebbero garantire e dimostrare l’adamantina resistenza delle redazioni alle pressioni degli inserzionisti e della pubblicità, presente sui giornali fin dalla loro nascita e, per decenni, prima fonte di ricavi e di stipendi.

Al contrario, l’alleggerimento di pressioni commerciali indotta dal sostegno pubblico (del quale bisogna comunque rispondere presso lettori e cittadini) rafforza il lavoro dei reporter.