Per la Cgil di Maurizio Landini la «commissione ministeriale» proposta dal vicepremier e ministro del lavoro e dello sviluppo Luigi Di Maio per stabilire un salario minimo in Italia – nove euro lordi all’ora è la proposta del Movimento Cinque Stelle – «non funziona». Nel sindacato «c’è interesse per la proposta, ma questa non è la strada giusta». L’idea di Di Maio, formulata in un’intervista all’Huffington Post, di mettere insieme i sindacati e gli altri attori rappresentativi, probabilmente le imprese e altri interlocutori, è una soluzione politica che non può sostituire la contrattazione tra le parti in un rapporto di lavoro: «Il salario si stabilisce nella contrattazione tra imprese e sindacati che rappresentano i lavoratori».

NEL DISEGNO DI LEGGE, prima firmataria è la senatrice Nunzia Catalfo, il Movimento Cinque Stelle intende stabilire una paga oraria di nove euro che dovrebbe interessare i lavoratori la cui retribuzione minima è inferiore al cinquanta per cento del salario mediano in Italia. Dall’altra parte, Cgil Cisl e Uil hanno osservato che, a differenza di altri paesi anche europei dov’è presente questa misura, in Italia almeno l’ottanta per cento dei lavoratori dipendenti rientra in un contratto collettivo. «Se si vuole davvero fare il salario minimo basta applicare l’articolo 39 della Costituzione e rendere quei contratti erga omnes, cioè validi per tutti» sostiene la Cgil.

IN QUESTA PARTITA rientra anche una legge sulla rappresentanza sindacale sulla quale è stato raggiunto da tempo un accordo. I sindacati confederali ne chiedono l’applicazione, quelli di base evidenziano la necessità di garantire a tutte le organizzazioni rappresentative sui luoghi di lavoro e garantire così la democrazia sindacale. Si pone il problema dei «contratti pirata» che hanno autorizzato anche paghe al di sotto dei limiti della dignità. L’equilibrio tra diversi fattori porterebbe a «un salario minimo inteso come una regolazione del mercato e un’equità del lavoro nel mercato». Tutto dipende dal campo di applicazione della norma e dalla tipologia del lavoro.

NEL SINDACATO si fa anche un’altra considerazione. Nell’impostazione data dai Cinque Stelle, il «salario minimo» sembra essere trattato come l’equivalente della paga minima tabellare. Quest’ultima varia da professione a professione. Si può andare dai nove euro lordi, una soglia comunque alta, ma si può arrivare anche fino a 25 euro. È una contraddizione, il salario minimo e il minimo tabellare sono due cose diverse. Il salario comprende diverse voci, le ferie ad esempio, mentre il minimo tabellare è la paga base a cui si aggiungono altre voci. Negli incontri che i sindacati hanno avuto con il governo è stata evidenziata la necessità di riportare questa dinamica a un’idea «inclusiva» della contrattazione nella quale portare progressivamente coloro che oggi sono ai margini o totalmente esclusi dai contratti di lavoro. Nelle sfumature di questi provvedimenti possono emergere situazioni in cui un salario minimo fissato per legge non contrasti con la contrattazione, ma la completi stabilendo le modalità di una transizione. Non dovrebbe essere esclusa la possibilità di trovare un punto di equilibrio tra un salario minimo stabilito da una legge («legale») e un salario contrattuale ottenuto dalla negoziazione tra le parti. La differenza esiste, ma le soluzioni possono coesistere in un modo tale da allontanare anche il rischio di un uso del «salario minimo» contro la contrattazione. Nel gioco tra le parti tale possibilità non sembra essere stata ancora messa a fuoco.

NELLA CORSA AL VOTO alle europee Di Maio continua ad assicurare che il suo «salario minimo» e successivamente una riduzione dell’orario di lavoro arriveranno al voto in parlamento. Negli equilibrismi con l’alleato leghista sostiene che una sua contrarietà su questi temi lo stupirebbe. E assicura che le imprese non sono contrarie. I precedenti del «decreto dignità» o del sussidio detto impropriamente «reddito di cittadinanza» hanno dimostrato che le trattative possono peggiorare provvedimenti formalmente evocativi, ma deludenti o ingiusti come l’esclusione degli stranieri residenti da meno di 10 anni dal «reddito» o il lavoro obbligatorio fino a 16 ore a settimana. In questo quadro, la contrarietà dei sindacati o delle imprese sul «salario minimo» complicherebbe il quadro. E, in quel caso, andrebbe compreso come lo Stato intende assicurare ai precari il rispetto dei minimi senza, al contempo, assicurargli una contrattazione e una rappresentanza. Basterà una legge?

PROSEGUE LA POLEMICA con il Pd che ha presentato una proposta di legge sul salario minimo. All’accusa di Di Maio di non avere fissato una soglia, ieri ha replicato l’ex ministro del lavoro Cesare Damiano (Pd): «Non ha letto la proposta. deve mettersi d’accordo con se stesso – ha detto – Si rischia la fuga delle imprese dal sistema contrattuale. La nostra soglia recepisce i minimi tabellari dei contratti nazionali. C’è una commissione al Cnel che ha il compito di fissare il salario tabellare di chi non ha ancora un contratto di lavoro e fare una media».