Comunismo e pensiero critico
In una parola La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss
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Qualche giorno fa Norma ha ricordato una frase di Valentino Parlato: abbiamo cominciato nel 1789 e non abbiamo ancora finito.
Ne approfitto e mi riaggancio proprio lì.
Sia la nobiltà che l’alta borghesia, in quegli anni, agli strati popolari che tentavano di spingere la rivoluzione sempre più in là, oltre il limite che le due classi cercavano di porle, appiopparono per disprezzo il termine di sans-culottes.
E quegli strati popolari non se ne vergognarono affatto, ma assunsero per sé il termine con orgoglio.
Anche quando il termine “comunista” iniziò ad aggirarsi come uno spettro per l’Europa, per nobiltà e borghesia era sinonimo di criminale, di fuorilegge, di terrorista, eccetera. (con relative calunnie: vogliono la comunione delle donne…)
Ma Marx ed Engels non ebbero dubbi a titolare il loro scritto del febbraio 1848 “Manifesto del Partito Comunista”.
Dallo scioglimento del PCI assistiamo a processi inversi: del termine “comunista” ci si vuole liberare come di uno stigma, in sostanza invece di assumerlo e sostenerlo con orgoglio se ne prova vergogna.
Ricordo solo due casi: Giuliano Ferrara (“mi ci costringeva mio padre…”) e Valter Veltroni (“io non sono mai stato comunista”).
Il “delicato” suggerimento di Norma - non se ne abbia a male - mi sembra inserirsi logicamente in questa scia. “Visto che il comunismo non è all’ordine del giorno” è la sua motivazione, ma è per così dire un “eufemismo ipocrita”. Io lo tradurrei così: visto che gli avversari di classe sono riusciti a far passare come senso comune in buona parte dell’opinione pubblica dell’Occidente l’identificazione del comunismo non con quel movimento epocale che appunto iniziò nel 1789 o giù di lì (gli enragés, Babeuf, Buonarroti…), ma con le dittature di tipo stalinista che risultarono dal deragliamento della rivoluzione del 1917, ci conviene rinunciare a presentarci con quel termine per renderci più appetibili sul mercato dell’informazione.
Anche la scissione di Vendola (perdente al congresso!) fa parte di quella scia. Ma il cambio della denominazione nelle formazioni-splinter che ne sono derivate ha fruttato sì qualche posto in parlamento, ma solo come appendice per nulla incisiva di centro-sinistra ancora neoliberisti.
Non sono affatto ottimista: questi processi inversi, come li ho chiamati, sono ancora in corso e la proposta di Norma non è certo il punto finale della “damnatio memoriae”.
Ma il movimento comunista (nel suo senso più lato identificabile quasi del tutto con il movimento operaio) ha una scorza molto dura, ed annientarne nome e memoria non è stata e non sarà impresa comunque facile.