Nelle ultime settimane, complici le esigenze legate alla campagna elettorale, sono state mosse da alcuni esponenti dei Verdi critiche alla sinistra, spesso pretestuose. Spiace particolarmente sentir ridurre da Monica Frassoni, co-portavoce dei Verdi europei, le aspirazioni, i programmi e l’impegno della sinistra a mero desiderio di sbandierare un’ “etichetta”, mentre i “temi” reali resterebbero in capo a chi ha davvero a cuore il bene dell’ambiente, sentendosi unico detentore di tale patrimonio.

Come si possono derubricare a vuota “etichetta” l’operato e le conquiste che la sinistra ha perseguito e spesso raggiunto per coniugare le vertenze ambientali e quelle sociali nell’ultimo decennio, da quando cioè i Verdi italiani sono stati espulsi dai parlamenti italiano ed europe?

Si può capire che a muovere accuse di questo genere siano gli industrialisti, i neoliberisti, i neosovranisti di destra. Ma se a muoverle è chi si
definisce portatore sano delle tematiche ambientali, ciò può solo significare solo che è stato per anni a dir poco assai distratto.

Nei mesi che hanno preceduto la presentazione delle liste, i Verdi hanno rifiutato il dialogo con chi in questi anni ha consolidato la convinzione che ambiente, lavoro, salute, diritti sociali e umani siano non in conflitto ma, al contrario, del tutto interconnessi. Hanno preferito trattare con chi ha come obiettivo uno sviluppo basato sul medesimo modello che ci ha portato all’attuale crisi sociale e ambientale.

Lungo questa strada si finisce inevitabilmente per accettare aperture proprio nei confronti di chi promuove Tav, Tap, Ilva, Muos e in generale tutte le grandi opere utili solo a moltiplicare gli utili. Si può parlare di green new deal, ci si può definire “liberali”, ma la sostanza consiste nell’aderire di fatto alle logiche dei grandi capitali. Proprio quelle logiche che, con il loro modello economico basato da un lato sul business as usual e dall’altro sulla gestione dei capitali dettata dagli interessi del monopolio internazionale, ci hanno portato alla débacle sociale e ambientale.

La ricerca del consenso fa parte del gioco politico. Ma un consenso così conquistato non sarebbe finalizzato al bene dei cittadini e della casa comune.

Rappresenterebbe una sorta di “bottino” da portare in dote al Pd di Calenda. Significherebbe, in concreto, ridursi a stampella di un Pse che oggi ha per principale obiettivo evitare l’alleanza europea fra Ppe e Destra, per conservare la propria alleanza con lo stesso Ppe, quella che da sempre è perno delle politiche europee.

Dovrebbe però essere ormai chiaro a tutti, anche ai Verdi italiani, che quel Ppe, in cui figurano in primo piano personaggi come Orban, non può essere il partito con il quale dare vita a un’alleanza europea che miri a trasformare la Ue. Per realizzare questa missione storica, dal cui esito dipende il futuro dell’intero continente, è necessario che nasca una terza grande casa, nella quale possano coabitare sia i verdi che i rossi, alleati in nome di un modello sociale che redistribuisca secondo princìpi di equità e giustizia le risorse economiche e garantisca la salvaguardia, grazie a un modello di sviluppo alternativo, di quelle ecologiche.

Prima i Verdi italiani lo comprendono, bypassando le antipatie personali, e prima raggiungeremo quella riconversione dell’economia e della società che ha già iniziato a procedere da sola, mossa dallo spirito di sopravvivenza, senza bisogno di chiedere aiuto ai ceti politici.

*Responsabile ambiente Sinistra italiana, ex vice-presidente Commissione Ambiente della Camera