Blocco dei licenziamenti variabile con una durata minima fino a metà novembre e massimo fino al 31 dicembre. Dopo giorni di tensioni e veti incrociati, ieri le forze di maggioranza hanno raggiunto un compromesso su uno dei problemi del «Decreto agosto» che dovrebbe essere approvato nelle prossime ore dal governo. E poi hanno iniziato a litigare sui bonus destinati al rilancio dei consumi.

IL DIVIETO dei licenziamenti resterà dunque fino alla fine dell’anno, come affermato dalla ministra del lavoro Nunzia Catalfo davanti ai sindacati, ma avrà una scadenza variabile a seconda dell’uso continuo o frammentato che le imprese faranno delle casse integrazioni il cui finanziamento sarà prolungato per altre 18 settimane a causa dell’emergenza innescata dal Covid. Se, ad esempio, un’impresa ha fatto richiesta dell’ammortizzatore sociale dal 13 luglio in poi, ed è intenzionata ad usarlo per intero, e da subito, terminerà la disponibilità delle ore di cassa integrazione a metà novembre. Dopo avere risparmiato sui salari, da quel momento potrà iniziare a licenziare. Le imprese che invece sceglieranno di usare parzialmente, o a scaglioni, le casse integrazioni potranno arrivare anche fino alla fine dell’anno o anche all’inizio del prossimo. Terminato il periodo accordato, anche loro potranno iniziare a licenziare, se non avranno avuto modo di ricominciare a produrre.

NEL «DECRETO AGOSTO» sarà prevista anche un’alternativa a questo uso dell’ammortizzatore sociale. Le imprese potranno infatti ricevere uno sgravio contributivo di quattro mesi sui lavoratori che, dopo essere stati messi in cassa integrazione a maggio e giugno, torneranno al lavoro in azienda. Questa misura di decontribuzione resterà valida fino alla fine dell’anno, coprirà il 100% dei costi previsti ed entro il limite di 8.060 euro annui, riparametrata e applicata su base mensile. Nei quattro mesi in cui le imprese riceveranno i fondi per la decontribuzione non potranno licenziare i lavoratori. Al termine di questo periodo, dopo avere incassato gli sgravi, potranno licenziare.

SONO QUESTI I MODI in cui ieri si è pensato di evitare l’ora X dopo la quale avrebbe potuto scattare la temuta ondata di licenziamenti di massa nell’ambito del lavoro dipendente contrattualizzato. I licenziamenti avverranno lentamente, diluiti nel tempo, sempre per decisioni delle imprese, una volta che avranno esaurito le 18 settimane ulteriori di cassa integrazione o gli sgravi in alternativa.

DAVANTI A UNA BOZZA di decreto, precedente al compromesso raggiunto ieri, che fissava la fine del blocco variabile al 15 ottobre, Cgil Cisl e Uil hanno annunciato la possibilità di uno sciopero generale il prossimo 18 settembre. Ieri sera, una volta arrivata la notizia dell’accordo nella maggioranza, fonti sindacali della Cgil hanno informato che quella raggiunta «non sembra una brutta soluzione. Se si lega il blocco dei licenziamenti agli ammortizzatori sociali, e si fa corrispondere la durata dell’uno a quella degli altri come grosso modo sembra che è stato deciso, questa è una soluzione che potrebbe avvicinarsi alle nostre richieste. Non si arriva al 31 dicembre, ma ci si avvicina. Dipende anche dal periodo a partire dal quale si inizierebbe a beneficiare della Cig. Si potrebbe anche scavallare la fine dell’anno» A questo punto però viene da chiedere cosa succederà dopo il primo gennaio 2021: scatterà un’ondata di licenziamenti di massa? «Già oggi – è stata la risposta – si prevedono procedure di insolvenza e fallimentari, contratti di solidarietà e riduzione di orario del lavoro, misure necessarie per accompagnare i lavoratori. Al netto dell’arrivo di un altro choc epidemiologico, cosa che tutti auspichiamo non avvenga, ci auguriamo che il paese vada verso una ripartenza».

SULLA PROSPETTIVA della ripresa continua a scommettere il ministro dell’economia Roberto Gualtieri commentando i dati Istat sull’aumento della produzione industriale: +8,2% giugno, ma il livello dell’attività è ancora indietro del 13,7%. Per Gualtieri «è un dato che crea i presupposti per un forte rimbalzo del Pil nel terzo trimestre del 2020». Il ministro prospetta quella che gli economisti definiscono una ripresa a «V»: un crollo drastico del Pil e poi un rimbalzo impressionante. Tutta la politica del governo, e anche la discussione sul blocco dei licenziamenti e sul prolungamento degli ammortizzatori sociali, dipende da questo scenario. Meno chiaro sembra, al momento, il fatto che un crollo del Pil stimato tra il 9 e il 13% (l’Istat ha parlato del 12,4% tra aprile e giugno) e una ripresa stimata del 4,6% nel 2021 lascerebbe sul terreno almeno 5 punti di differenza in un anno. Il recupero della produttività capitalistica sarà lungo e difficile, con sempre meno lavoro e sempre più povertà. Gli stessi investimenti del «Recovery Fund» avranno effetto – se lo avranno – tra anni, mentre quelli sull’occupazione dovuti a una ripresa non sono prevedibili. Il governo punta sui 20 miliardi aggiuntivi che il programma europeo «Sure» destinerà agli ammortizzatori sociali. Anche questi potrebbero non essere sufficienti.