L’austerità non è uguale per tutti sostiene Gianfranco Viesti, ordinario di Economia applicata all’Università di Bari in un’analisi sulla politica economica dal 2011 a oggi pubblicata sul Menabò del sito Etica e economia. L’economista conferma la sua analisi dopo avere studiato le carte della legge di stabilità. Si parte dall’eliminazione della tassa sulla prima casa. «È una manovra poco equa perché premia in misura cospicua i più abbienti e rilancia molto poco i consumi. Lo sostiene anche la Banca d’Italia: i consumi aumentano soprattutto quando cresce il reddito di chi ha meno – sostiene Viesti – Non sono un rigorista e non critico il governo perché aumenta il deficit. Il problema è che le risorse non sono molte e andrebbero calibrate sull’equità e sullo sviluppo».

Gianfranco Viesti, economista, università di Bari
Gianfranco Viesti, economista, università di Bari

Dove andrebbero investiti questi fondi?
Negli investimenti pubblici e in interventi di coesione sociale contro la povertà. Se dobbiamo lavorare sul lato delle riduzioni fiscali è molto più opportuno intervenire sul lavoro che sulla casa. Su questo sono d’accordo tutti: l’Ocse, la Commissione Europea. Lo era lo stesso ministro Padoan.

Che però ha cambiato idea come sul tetto del contante. Perché secondo lei?
La crisi è molto dura e il governo persegue un consenso con queste manovre poco lungimiranti, ma molto utili per il consenso immediato.

Il governo ha stabilito una misura contro la povertà assoluta. La ritiene sufficiente?
Ho letto con molto favore il commento di Massimo Baldini che ritiene che il tipo di strumento adottato sia quello giusto. Si va verso l’estensione del Sostegno per l’Inclusione Attiva (Sia). Potrebbe essere un passo per un intervento di sistema contro la povertà, ma il problema è che le risorse stanziate sono esigue.

Come mai la spending review si è fermata a 5 miliardi, la metà di quanto annunciato dai commissari Gutgeld e Perotti?

Perché forse le stime erano gonfiate. È molto difficile trovare risparmi a regime che non impattino sui servizi. La spending review è uno strumento molto difficile, bisogna usarlo come un bisturi, farla poco alla volta, non si può pensare di ricavare a brevissimo termine risultati così grandi.

Alla sanità saranno tagliati 2,3 miliardi e si preparano 15 miliardi di tagli per il prossimo triennio. Quali saranno le conseguenze?
Temo cattive. Ci saranno ripercussioni sulla fruizione del servizio dei più deboli. Mi sembra che il governo proceda rapidamente perché vuole i risultati sui saldi. Il mio timore è che queste misure ridurranno le prestazioni soprattutto nelle aree dove il servizio è meno efficiente e danneggerà anche un settore della medicina, quella preventiva, che è molto importante. È una situazione preoccupante.

Si parla di una proroga della decontribuzione per le assunzioni per una cifra dimezzata rispetto al 2015. Cosa pensa degli effetti del Jobs act e quali risultati produrrà sull’occupazione al Sud?
Ci vuole molta cautela. Quelli sul lavoro sono interventi molto costosi e di questi tempi bisogna pensarci con attenzione. In alcuni casi possono portare a occupazione che però col tempo svanisce. Ciò detto in questo momento non mi sento di attaccare queste misure perché oggi serve aumentare la componente di lavoro nella ripresa. Lo strumento decontributivo può essere efficace. Le prime stime mostrano risultati sorprendenti anche al Sud.

Ma si tratta di precariato e di lavoro a termine.
Lo vedremo, si tratta di lavoro con le nuove regole. Per il momento non è detto che sia vera né l’una, nè l’altra ipotesi. Vedremo.

Basterà l’assunzione di 1500 ricercatori per recuperare il terreno perduto dall’università?
Assolutamente no. Nella manovra l’articolo sui 500 «super-professori» rimanda a un provvedimento attuativo che non conosciamo e rischia di creare scompiglio tra chi ha partecipato all’abilitazione e non ha avuto ancora il posto. Sembra poi che il governo sbloccherà gli stipendi fermi da anni, ma questo potrebbe produrre uno choc sui bilanci degli atenei che dovranno affrontarlo con le risorse di prima. Nella stabilità mancano risorse per affrontare l’emergenza drammatica del diritto allo studio. E poi c’è il dubbio più grande di tutti: i nuovi mille ricercatori saranno distribuiti in base alla valutazione della qualità della ricerca, cioè un criterio distributivo che dà molto a poche università e molto poco a tutte le altre. Questo provvedimento aumenta moltissimo la tendenza alla biforcazione del sistema universitario, più del passato. È una scelta profondamente sbagliata. Sembra la realizzazione della distinzione tra atenei di serie A e B fatta da Renzi tempo fa. Un paese è forte se la sua università è forte, non se conta solo su poche eccellenze.

Sindacati e imprenditori si chiedono dove sia finito il «master plan» promesso da Renzi per il sud. Esiste o non esiste?
Che io sappia esiste un tavolo di lavoro per definire alcuni patti tra governo-regioni-città. Che cosa ci sia in questi patti non è dato sapere. Il rischio che ci siano le cose che già ci sono m a scritte in un altro modo. Sta di fatto che il piano annunciato da Renzi ad agosto nella legge di stabilità non c’è.

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio De Vincenti sostiene che per il Sud ci saranno 11 miliardi di investimenti nel 2016.
Il governo ha chiesto l’applicazione della clausola di flessibilità sugli investimenti alla Commissione Europea. Questa clausola permette di tenere fuori le risorse nazionali che cofinanzino i fondi europei. Questa misura serviva nel 2015 quando c’era da chiudere i vecchi programmi. Non sappiamo se potrà essere applicata nel 2016. In più non si sa se dietro questa accelerazione ci siano progetti reali. Il timore è che l’annuncio serva solo per tenere buona l’Europa. Ci facciano vedere l’elenco delle opere. Se esistono, tanto di cappello.

Perché il Sud, più di tutti, è stato colpito dall’austerità?
Dal governo Monti in poi l’intervento pubblico è cambiato moltissimo e in maniera oscura, con immensi impatti territoriali. Blocchi del turn over nella P.A., tagli alla sanità, alle regioni, al trasporto pubblico, aumenti delle sovratasse comunali e regionali. Tutto questo ha colpito in maniera drammatica il Sud. Oggi è necessario un discorso molto alto su quali diritti di cittadinanza ci possiamo permettere con minori risorse pubbliche e come le riorganizziamo. Procedendo invece così alla fine ci sarà un pezzo di paese che avrà diritti di cittadinanza inferiori a quei pochi che aveva prima della crisi. Non dico diamo più soldi al Sud. Più semplicemente dico che gliene stiamo dando molti di meno e questo non aiuta la ripresa economica.

*** Materiali: Rapporto Svimez 2015

Svimez, il segno più della crescita nel Sud sempre più povero

Il Sud, la nostra Grecia (Anticipazione del rapporto Svimez)

Intervista a Gianola (Svimez): Il sud ridotto a Land tedesco, Renzi non ha una visione

Intervista a Gianfranco Viesti: “Renzi ha tagliato i fondi per il Sud per finanziare il Jobs Act”