L’esordio letterario di Giuseppe A. Samonà risale al 2004, con Quelle cose scomparse, parole: una sorta di dizionario stralunato, un «lessico famigliare» comico e struggente, che raccoglieva ossessivamente le voci di una generazione che frequentava il liceo negli anni ’70, ma anche quelle di un’Italia antica, sullo sfondo di una geografia mediterranea, profondamente amata e studiata. Oggi, dopo altre prove letterarie (racconti, traduzioni, saggi), Samonà torna con un nuovo libro «bastardo»: La frontiera spaesata (Exòrma, pp. 314, euro 16) è e non è infatti un libro di viaggio, un’esplorazione urbana e letteraria dei Balcani, una riflessione storica e politica, una geografia della memoria, un itinerario poetico.

VOLENDO EVOCARE dei precedenti, si potrebbero menzionare forse Danubio, Microcosmi o Un altro mare di Claudio Magris, o il Breviario mediterraneo di Predrag Matvejevic. E tuttavia, nel suo rivolgersi direttamente al lettore con un «tu» – talvolta riferito alla sua amata compagna di viaggi e autrice delle fotografie e delle mappe che punteggiano il testo -, la voce di Samonà resta personalissima e inconfondibile: non solo riemerge qua e là quella vena bizzarra e giocosa che scorreva nel primo libro, ma affiorano con maggior peso la conoscenza e la passione per il mondo antico – greco, romano e del vicino oriente – a cui Samonà ha dedicato, su un altro versante, la sua vita di studioso.

La «frontiera spaesata» è l’opposto di un confine netto, tracciato con una linea, perché rimanda piuttosto a un vasto e irriducibile territorio di frontiera, dove ogni paese attraversato scorre nell’altro e rivela il suo spaesamento scomponendosi in un caleidoscopio di nomi, lingue, storie, immagini, aspirazioni. C’è un punto di partenza, Trieste (o Trst), che continua a seguire il viaggiatore attraverso le altre tappe, Koper (o Capodistria), Piràn, Portoroz, Ljubliana, Pola, Zagreb… «Del resto: dove iniziano? Dove finiscono i Balcani? Andarci verso sembra essere la fluida essenza di questo viaggio. Prova a chiedere dove si trovino, questi inafferrabili Balcani, il più delle volte ti risponderanno semplicemente indicando in direzione del paese, della porta seguente. Fino a quando non ti indicheranno in direzione delle terre che hai appena abbandonato – o non comprenderanno più la domanda». Quest’ultima alternativa ci immerge improvvisamente nei sapori dell’Odissea, dove leggiamo che la landa ignota profetizzata da Tiresia a Odisseo come suo ultimo viaggio sarà raggiunta quando gli abitanti non comprenderanno più il significato della parola «remo», e lo scambieranno per una pala da grano.

PARADOSSALMENTE, leggendo queste pagine, ho provato il sentimento di un ritorno a casa, con tutto il calore di una casa, benché per me ancora da scoprire – popolata di decine di autori che non ho letto e che mi riprometto di leggere, e di altri che mi sono cari, da Kiš a Michelstaedter, e altri ancora inaspettati in questo contesto, come Gadda o Landolfi, o la scrittrice e storica americana Ian Morris, che quando era ancora James Morris aveva conosciuto Trieste nel 1945, da soldato. Una casa promessa, ma lontana dalla promessa di un ritorno a Itaca: una casa bastarda, con tutta la ricchezza e l’emozione che chi si ammala di identità è destinato a non conoscere mai. Il libro è infatti anche un elogio della mixité: «Gli istriani sono bastardi (per questo t’innamorano)», scrive Samonà, ricordando quelli che in Istria sono rimasti, come il poeta Ligio Zanini e il protagonista della Miglior vita di Tomizza, il sagrestano Martin Crusich.

Chi si abbandonerà a questa lettura, potrà farne molteplici usi: lasciarsi guidare, come se avesse tra le mani un baedeker confidenziale, per le piazze, le porte, le rive e le strade, da Trieste in giù; immaginare di seguire questi destini incrociati, condividendo emozioni e incontri, storie e riflessioni, o tenerlo a portata di mano, capitolo per capitolo, come una personale guida letteraria, o, ancora, rivisitare la storia complicata e drammatica di questa vasta frontiera, che ancora genera conflitti velenosi e ignoranti.

SE I BALCANI sono un caleidoscopio, drammatico e ammaliante, il libro lo restituisce a mosaico, con splendenti tessere di misure diverse, dipinte a distanza o da vicino: ne ricordo solo una, incastonata a Trieste, e porta il nome di Basaglia: «ricordi? Da vicino nessuno è normale…».