«Chi pensava che un’opzione militare potesse favorire una soluzione stabile per la Libia in queste ore viene smentito». In una breve dichiarazione alla stampa, tra il primo incontro a palazzo Chigi con il vice premier del Qatar Mohammed Al-Thani e il secondo con il vice preside del governo di Tripoli Ahmed Maitig, Giuseppe Conte non nasconde la soddisfazione per le difficoltà che sta incontrando sul terreno libico il generale Haftar. È l’unica buona notizia per Roma, che «lavora al dialogo» ma lo fa appoggiando esclusivamente il «governo di riconciliazione nazionale». L’emiro qatarino, e ovviamente il vice di Serraj, sono schierati con Tripoli. Tant’è che Di Maio, sorpreso dagli accadimenti in viaggio di affari negli Emirati arabi uniti (che invece appoggiano Haftar) si affretta a dichiarare, per quanto possa risultare incredibile, che «non ho parlato di Libia né credo che avrò occasione».

Comprensibile quindi che non ci sia stata la annunciata (da palazzo Chigi) telefonata di Conte con Donald Trump. Gli Usa non mollano certo adesso il generale, che è anche cittadino americano. Al posto della telefonata con Washington c’è una risposta che David Satterfield, consigliere per il medio oriente del dipartimento di stato, concede all’agenzia di stampa italiana Adnkronos: «Comprendiamo la preoccupazione dell’Italia, vista la vicinanza della Libia. Vogliamo vedere una soluzione rapida che garantisca stabilità al paese e alle nazioni vicine». Discorso fin qui scontato, la conclusione invece è impegnativa: «La domanda che tutti devono porsi – dice Satterfield – è: “Quale soluzione è destinata ad avere un effetto a lungo termine?”». Washington evidentemente continua a non fare affidamento su Serraj.

Il traballante presidente del governo di Tripoli intanto «ringrazia l’Italia» e le fa omaggio del più prevedibile ricatto allarmistico, esagerando le cifre sui profughi che sarebbero pronti a partire e parlando di terroristi che si nasconderebbero tra loro. Dichiarazioni che provocano il consueto pomeriggio di follia tra gli esponenti del nostro governo (vedi articolo accanto), con la ministra della difesa Trenta che si offre per fare «lezioni di diritto internazionale ai leghisti». Perché, spiega, «i loro toni aggressivi sulla Libia rischiano solo di destabilizzare ulteriormente la situazione». Ma Salvini non arretra, né si ferma alla polemica sui profughi che «con me ministro» saranno respinti, spiega, come oggi (ancora in Libia, immagina?). No, il ministro dell’interno non ascolta neanche i richiami di Conte che ha pregato di lasciare a lui il «coordinamento del dossier libico» e ottiene per oggi un incontro con lo stesso Maitig che il presidente del Consiglio ha incontrato ieri. Il ministro dell’interno italiano lo ha già conosciuto, del resto, quando poco fa è stato in Libia anche in quell’occasione travestendosi da capo della diplomazia italiana. Per sovrappiù il Viminale fa sapere che Salvini riceverà anche il ministro tunisino delle telecomunicazioni Anouar Maarouf, evidentemente considerato interlocutore indispensabile in questa fase.

In serata il nostro governo deve incassare la polemica di un portavoce dell’esercito nazionale libico di Haftar che dice di non sapere niente della missione in Italia di Maitig «ma posso dire a tutti che la nostra battaglia è contro il terrorismo, contro chi ha giocato a pallone con le nostre teste». Che l’appoggio ad Haftar si giustifica proprio con la battaglia al terrorismo, lo ha detto anche il presidente egiziano Al Sisi, altro alleato dell’Italia, ieri al telefono con la cancelliera tedesca Angela Merkel.
Il nostro Conte, che non può ottenere alcun passo in avanti verso il cessate il fuoco, può solo farsi i complimenti da solo per «la strategia italiana… la nostra intuizione del dialogo. Dobbiamo scongiurare una crisi umanitaria gravissima». Ditelo a Salvini.