Editoriale

La cortina fumogena della paura

È probabile che quando il Nobel verrà assegnato a chi più ha attivamente usato la paura per far avanzare le sue manovre, il premio andrà al premier israeliano Netanyahu. E […]

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 22 ottobre 2016

È probabile che quando il Nobel verrà assegnato a chi più ha attivamente usato la paura per far avanzare le sue manovre, il premio andrà al premier israeliano Netanyahu. E se dovesse essere assegnato a chi parla senza sapere di cosa parla, molti israeliani e non pochi italiani si disputeranno il titolo. Lo scandalo Unesco, la decisione tanto criticata su Gerusalemme, è un caso molto strano nel quale la maggioranza degli attori crea ad arte una raccapricciante e tragica gran cortina di fumo, che permette di non parlare delle questioni vere, del costo della guerra e del sangue da versare in una crisi che sta solo precipitando. Netanyahu e la leadership israeliana tutta, con quasi nessuna eccezione, hanno elevato un coro contro la decisione dell’Unesco che negava – secondo loro – ogni vincolo ebreo sui luoghi sacri nella Città vecchia di Gerusalemme. Una negazione che sarebbe stata fatta per pura ignoranza, imbecillità o magari per antisemitismo.

Il problema è che non è questo il contenuto della risoluzione dell’Unesco. Piaccia o no la decisione mette un’altra volta sul tavolo delle discussioni parte del problema, centrato nella Moschea di Al Aqsa, il terzo luogo sacro per i musulmani, costruito nell’anno 705.

Per gli archeologi, nello stesso luogo sarebbe stato edificato il Secondo Tempio, sacro agli ebrei e distrutto durante la rivolta contro i romani nell’anno 70.

Dal 1967, l’allora ministro della difesa Dayan e una gran parte dell’élite dominante – anche sotto governi di destra – evitò di convertire la vicenda in una questione di sostanza per i credenti, così che importanti rabbini proibirono la visita al Monte su cui si troverebbe il Tempio, oggi luogo sacro per i musulmani.

I rabbini intesero bene i pericoli di stimolare i circoli fondamentalisti che oggi, sul Tempio, animano le campagne dell’estrema destra.

Ora i politici israeliani che reagiscono infuriati vogliono accusare l’Unesco di rivelarsi come un’organizzazione quasi antisemita nel negare che gli ebrei abbiano alcun vincolo con i luoghi sacri. I giornali, in generale, giocano un ruolo assai penoso quando riflettono solo la posizione di Netanyahu e dei suoi compari. Com’è possibile, infatti, una decisione che dica o insinui che gli ebrei non abbiano un vincolo storico con questa terra o con Gerusalemme e i suoi luoghi santi? Una tale decisione sarebbe molto più deplorevole e andrebbe a vantaggio dei demagoghi e razzisti di tutti i colori. Il problema è un po’ più chiaro quando si legge la risoluzione dell’Unesco che afferma, tra le altre cose, l’importanza della città vecchia di Gerusalemme «per le tre religioni monoteiste» e deplora profondamente il rifiuto di Israele di applicare le decisioni precedenti dell’Unesco riguardo a Gerusalemme est.

La decisione critica vari passi adottati da Israele e invita anche a ritornare all’accordo di status quo che avevano firmato i governi di Israele e Giordania nel passato. Documento che permetteva le visite di ebrei e turisti in generale è considerato positivo ancora oggi dai circoli diplomatici israeliani. Anche uno dei partecipanti alle discussioni di allora ha invitato, su Haaretz la settimana scorsa, a rifarsi a questo documento.

Già da un anno i fatti di sangue in Israele e specialmente a Gerusalemme si sono aggravati nel segno della «Terza Intifada». La ragione è semplice: la realtà musulmana ha visto nei passi israeliani adottati nell’ultimo anno e nelle provocazioni senza fine della destra fondamentalista, una minaccia reale alla Moschea di Al Aqsa. Forse ad occhi israeliani o europei questo non è importante, ma il moltiplicarsi di passi che accelerano la presenza di circoli israeliani «pro Tempio» che pure violano la proibizione (stabilita negli accordi precedenti) di pregare nella spianata di Aqsa, sicuramente alimenta ogni posssibile teoria, certa o meno, che il pericolo per l’integrità della Moschea sia imminente.

Il governo israeliano si accontenta di dichiarazioni occasionali in cui dice che non desidera cambiare lo status quo perché teme che questo convertirebbe il conflitto in una guerra infernale con tutto il mondo musulmano. Però allo stesso tempo non frena le aggressioni e le provocazioni dei circoli fondamentalisti. E questi vengono accontentati con decisioni che, al contrario, limitano l’arrivo di credenti musulmani sul luogo.

Sarebbe conveniente che l’Europa e gli Usa (se non fossero presi da calcoli elettorali), si svegliassero: Netanyahu e i suoi compari ci stanno portando a un conflitto religioso. Un conflitto politico si può risolvere, uno religioso no.

Il problema oggi non è l’Unesco e le decisioni europee ma l’apatia internazionale di fronte all’aggravarsi dell’occupazione; il consolidarsi di nuovi insediamenti che sono un ostacolo alla pace.

Quattro milioni di esseri umani sprovvisti dei più elementari diritti non sono ascoltati dai politici irresponsabili che non si preoccupano neanche di leggere le dichiarazioni dell’Unesco e ancor meno capiscono che la lotta per una pace vera è urgente e necessaria.

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