Editoriale

Le buone chance del Mattarellum

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Legge elettorale Governabilità e consenso, in democrazia, camminano insieme. Senza iniezioni di droga maggioritaria. Né il sistema «spagnolo», né il «sindaco d’Italia» soddisfano i requisiti della Corte

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 15 gennaio 2014

Con la sentenza n. 1/2014 la Corte costituzionale non prescrive al legislatore un sistema elettorale specifico. Ma certo disegna un preciso quadro di compatibilità. Per la Corte, la rappresentatività delle assemblee elettive è centrale per il sistema democratico. Ma anche la governabilità è valore costituzionalmente rilevante. Dunque è necessario un bilanciamento, e non è prescritto un sistema elettorale proporzionale puro.

Il legislatore è però tenuto a osservare principi di proporzionalità e ragionevolezza. In termini concreti, si può allontanare dalla esatta corrispondenza tra voti e seggi, ma non in misura eccessiva o arbitraria. Tale era appunto il caso per il premio di maggioranza senza soglia minima di voti del Porcellum. Al tempo stesso, la Corte guarda alla prescrizione del voto libero ed eguale. Ciascun voto deve contribuire potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi – effetto negato da quel premio di maggioranza – e deve consentire una scelta consapevole di chi lo rappresenta – preclusa dalle liste bloccate sull’intera rappresentanza parlamentare.
Dove e come le motivazioni della sentenza incrociano specificamente il dibattito in corso sulla legge elettorale? Per alcuni punti è evidente. Ad esempio, laddove la Corte afferma che la rappresentatività assume per le assemblee parlamentari una centralità maggiore che per le assemblee regionali e locali. Questo sicuramente pone un dubbio sulle ipotesi di sindaco o governatore d’Italia, anche a voler prescindere dalla difficile praticabilità in assenza di una revisione costituzionale della forma di governo. Oppure, laddove la Corte apre a sistemi misti similspagnoli o similtedeschi, di maggioritario di collegio e liste bloccate brevi. Oppure ancora quando l’ipotesi apparentemente semplice di introdurre nel Porcellum una soglia minima si scontra con una realtà politica che probabilmente richiederebbe per garantire la governabilità una misura del premio non lontana da quella che il Porcellum ha di fatto assicurato nelle ultime elezioni. Potrebbe mai essere considerata rispettosa della rappresentatività una soglia al 30/35%? O anche il premio di maggioranza al 15% caldeggiato da Berlusconi?

Non tutte le risposte sono semplici e nette. A mio avviso, perché – anche nell’argomentare della Corte – rappresentatività e voto eguale si intrecciano. Due valori parimenti protetti in Costituzione, e non sovrapponibili.
Un esempio. Facciamo l’ipotesi che un determinato esito elettorale si traduca in una eguale distribuzione di seggi – i fatidici 340 alla camera – sia con un sistema maggioritario di collegio come il Mattarellum sia con un proporzionale con premio di maggioranza come il Porcellum. Quanto all’eguale peso del voto il primo sarebbe conforme a Costituzione, il secondo no. Per quale motivo? Perché il primo non correggerebbe in alcun modo la traduzione dei voti in seggi, consentendo quindi a ciascun voto di pesare in misura eguale. Il secondo invece introdurrebbe una distorsione, aumentando artificiosamente il peso del voto espresso per la lista o la coalizione vincente e corrispondentemente diminuendo il peso del voto espresso per altri. Questo significa che un proporzionale con premio di maggioranza è intrinsecamente più sospetto quanto al principio del voto eguale di un maggioritario di collegio, che pure tendenzialmente esprime un favor per la formazione politica vincente.

Ma, nell’ipotesi prima fatta, i due sistemi produrrebbero la stessa disproporzionalità tra voti e seggi. Dovremmo forse ritenere tale disproporzionalità compatibile con la Costituzione laddove prodotta attraverso un voto tecnicamente uguale, e incostituzionale nel caso opposto? Se la rappresentatività assume un autonomo e decisivo rilievo costituzionale per la democraticità del sistema, ne segue che la misura della distorsione, comunque prodotta, deve osservare i principi di proporzionalità e ragionevolezza, ed è lesiva della Costituzione se eccessiva o arbitraria. Ricordiamo che per l’incostituzionalità basta che la distorsione sia potenziale.
È tutto qui il problema di una legge elettorale volta a un bipolarismo forzoso non rispondente alla realtà. La risposta è nell’accettare che in democrazia non si costruiscono bavagli artificiali per voci significative. È anzitutto nel consenso reale degli elettori che si affrontano i problemi di governabilità. L’incentivo maggioritario è la meta-anfetamina del sistema politico: una droga che a mio avviso sarebbe oggi utile e opportuno eliminare o ridurre il più possibile, soprattutto per favorire la ricostruzione dei soggetti politici. Ma un ritorno al proporzionale si mostra non realistico. Probabilmente, tra le proposte in campo, quella di tornare al Mattarellum tal quale, o con marginali limature come le liste-civetta, si mostra di fatto più praticabile, e meglio compatibile con la sentenza 1/2014.
Ricordiamo che la porta del giudizio di costituzionalità rimane aperta anche per il futuro. Colpisce nei motivi l’affermazione che una zona franca nel sistema di giustizia costituzionale quanto al diritto fondamentale di voto, determinerebbe un «vulnus intollerabile per l’ordinamento costituzionale complessivamente considerato». Di questo si dovrà d’ora in poi tener conto.

Infine, la corte ribadisce la legittimità formale del parlamento in carica. Ma anche fonda specificamente la necessaria rappresentatività nelle «delicate funzioni connesse alla stessa garanzia della Costituzione (art. 138 Cost.)». Da queste parole si trae un forte argomento sostanziale che questo parlamento – e questo governo – dovrebbero astenersi dall’esercitare quelle «delicate funzioni».

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