Le primarie della risacca
La grancassa batte sulle percentuali del successo di Renzi alle primarie del Pd. Ma se la propaganda dovesse invece lavorare sui numeri veri di questo voto, la soddisfazione per il […]
La grancassa batte sulle percentuali del successo di Renzi alle primarie del Pd. Ma se la propaganda dovesse invece lavorare sui numeri veri di questo voto, la soddisfazione per il […]
La grancassa batte sulle percentuali del successo di Renzi alle primarie del Pd. Ma se la propaganda dovesse invece lavorare sui numeri veri di questo voto, la soddisfazione per il risultato meriterebbe un più cauto e assai meno lusinghiero giudizio. Non solo per l’ex, futuro segretario, ma per quel partito in generale.
Praticamente poco meno di metà degli iscritti non è andata a votare per il segretario. Sarà pure l’asso vincente, ma cominciano a essere tanti, dentro e fuori, quelli che non amano giocare con lui questa partita. E soprattutto rispetto alle primarie precedenti il numero stesso degli iscritti ne contava almeno centomila lasciati per strada. Il partito con Renzi ha rottamato se stesso, ha subìto una cura dimagrante, come chi se ne è andato dalla ditta aveva da tempo avvertito parlando di una scissione in seno al popolo, anticipatrice della fuoriuscita di Bersani.
Oltretutto questo andamento al ribasso del voto segnala anche un’altra debolezza proprio nella partecipazione alla discussione congressuale dei circoli, dove non era affatto inusuale che alle riunioni arrivassero sparuti volenterosi mentre poi al voto risultavano centinaia di tesserati. Lo zoccolo duro che si schiera sempre con il segretario.
Ora comunque si aspetta il 30 di aprile, la prova dei gazebo. Qui la propaganda renziana dice che se andasse a votare un milione e mezzo di persone sarebbe un successo.
Si mettono le mani avanti per sostenere l’insostenibile visto che, sempre alle precedenti primarie, vinte da Renzi con il plebiscito contro Cuperlo e Civati, ai gazebo erano andati in circa tre milioni. Un’onda imponente che potrebbe, il 30 aprile, trasformarsi in una risacca. Se l’affluenza subirà un dimezzamento le primarie aperte sarebbero un mezzo flop.
Ma contro la propaganda a reti unificate, è abbastanza inutile smontare le narrazioni vincenti. Resta certamente vero che torna l’uomo solo al comando, ma di un Pd sfiduciato e ridimensionato. Resta vero che Renzi ha centrato l’obiettivo del congresso, ma con le minoranze di Orlando e Emiliano che ottengono dignitosi piazzamenti su linee politiche diverse da quella del segretario.
Naturalmente ha poco senso politico denunciare qualche rigonfiamento del tesseramento e tutti convengono che è meglio evitare le carte bollate.
Alla fine di questo tribolato congresso, Renzi può dire, a chi dubita della trasparenza del risultato, quel che già disse all’ultima direzione, che appunto lanciava il congresso («Poi però c’è chi vince e chi perde e chi perde deve riconoscere il risultato»). Le rimostranze dei suoi concorrenti servono solo al segretario per ribadire il concetto: «Chi vince vince, chi perde lo ammette».
Solo che il primo a non ammettere la crisi del Pd in cui questo primo risultato si specchia, è proprio lui. In fondo Renzi ha il pregio della coerenza perché anche dopo la poderosa emorragia delle ultimi elezioni amministrative in Emilia Romagna, di fronte al quel clamoroso, inedito 36% di emiliani faticosamente andati alle urne, non si mostrò per nulla turbato dall’esodo di massa dal ferreo rito del voto. Fedele alla massima aurea del suo stile politico: l’importante non è l’astensione e la fuga dal Pd, «l’importante è vincere». La partecipazione dei cittadini è l’ultimo dei suoi crucci, roba da vecchia sinistra.
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