Cara ministra Azzolina,
Mi scusi se mi rivolgo a lei così, ma non ho mai scritto a un ministro e nemmeno al presidente della Repubblica, a differenza di molti della mia generazione, questa generazione infausta direi, della quale anche lei fa parte. Il fatto che abbia più o meno la mia età, che sia stata una prof., che assomigli un po’ anche a una mia compagna del liceo e che insieme al presidente Conte, durante il lockdown entrasse nelle case, quando non puoi vedere gli amici, mi dà l’impressione di una ministra della porta accanto, ti una che ti ascolta. E perciò sono qui a scriverle e in forma colloquiale.
Non so se posso raccontarle la mia storia, temo un po’ le ripercussioni che questo possa avere nella mia carriera scolastica, perciò non le racconterò molto di quello che è stato e le dirò invece di quello che spero sarà. Sono un’insegnante di Lettere di un liceo milanese, dopo diversi anni di proposte affondate per scelte opportunistiche e delusioni ingoiate per amore del mestiere più faticoso e insieme più bello del mondo, sono arrivata a sperimentare come tutti l’assenza della scuola.

Era marzo e da subito io e i miei colleghi abbiamo ricreato la scuola, o qualcosa che ad essa assomigliava, attraverso la DAD, puntando come sempre sulla relazione e chiamandoci dentro a questo processo attivo, studiando giorno e notte per imparare competenze informatiche e didattiche da spendere in una situazione che era divenuta l’unica realtà possibile, 24/24h, la didattica è stata croce e delizia, ci ha salvato dai brutti pensieri, ci ha obbligato a lavorare tre volte tanto e nello stesso tempo seguire i nostri figli occupati in altrettante videolezioni e attività a distanza, io ne ho tre.

Come ho detto quella era l’unica realtà possibile e io ho ci sono stata dentro, cercando di fare del mio meglio, ho terminato l’anno scolastico per la prima volta piangendo lacrime di stanchezza, di gioia, di pura emozione per quei ragazzi che sono già dei miei ex allievi e che con me avevano condiviso quei mesi unici.

Ma ora che i mesi unici sono finiti, la realtà nella sua incredibile e multiforme varietà si riappropria anche della scuola, del processo di apprendimento e allora ecco che arrivano le linee guida, le misure, le indicazioni e la libertà dentro la regola. Per la prima volta in vita mia ho fatto l’analisi di un testo che non fosse letterario, le sue linee guida, e da lì passo dopo passo cercando il valido supporto di una manciata di colleghi, quelli che in questi anni mi sono stati vicini e l’aiuto dei quali in DAD ha contribuito a fare la differenza, ho iniziato a pensare di proporre alla nostra scuola particolarmente svantaggiata dalle misure anticovid, un progetto sensato, umano, che tenesse conto dell’aspetto più importante, del motivo per cui noi siamo a scuola, i ragazzi; che potesse garantire l’apprendimento attraverso la relazione umana in presenza, in gruppi più piccoli, più ristretti e che fosse praticabile, non troppo costoso.

É nato così, attraverso un instancabile lavoro e confronto quotidiano di poco meno di un mese, il progetto Colibrì, ovvero come fare di necessità virtù. Se possiamo stravolgere fino a un certo punto i nostri edifici scolastici, cambiare orari, introdurre turnazioni, cerchiamo di fare in modo da sperimentare qualcosa di didatticamente nuovo e valido, qualcosa che possa anche restare. Il progetto presenta ipotesi di didattica su piccoli gruppi, giornata sul territorio e ancora una parte di DAD nei modi e per gli effetti positivi che abbiamo visto esercitare su alcuni alunni, soprattutto in quelli con bisogni educativi speciali.

Ci siamo ispirati alle sue linee guida appunto, cercando di calarle nella realtà con le nostre esperienze e competenze squisitamente didattiche. Dovendo per ragioni di spazio sdoppiare le classi abbiamo pensato ai moduli orari di 45 minuti, scelta che tante altre scuole stanno intraprendendo e per le quali il colibrì può offrire supporto o rappresentare elemento di confronto. Pur conservando in DAD la classe numerosa di prima, serve nuovo personale.

É sulla base del progetto che servono i finanziamenti; soldi a pioggia per la tecnologia, in quelle scuole che ne sono già dotate non servono, servono soldi in base ai progetti. E questi progetti devono avere un minimo di respiro, non si può pensare a soluzioni estremamente provvisorie. Il pessimismo leopardiano che mi contraddistingue mi spinge a dubitare che in un mese o due ne saremo fuori, però non mi impedisce di agire e raccogliere la sfida di progettare per l’intero anno scolastico e, chissà, anche oltre, proponendo un piano che abbia al suo centro la relazione con lo studente e la valorizzazione dei suoi talenti e non una didattica in streaming come molte scuole stanno proponendo.

Questa è la ragione per cui il colibrì è nato ed è oggi on Line! E ora con la faccia tosta che mi contraddistingue, penso che mi spingerò fino a suggerirle cosa fare: se sono gli insegnanti che servono, e tanti sono lì fuori che non aspettano altro, è questo il momento di immetterli in ruolo. Perché la scuola siamo noi, noi e i nostri ragazzi, quelli che abbiamo davanti e intorno, anche se a debita distanza, anche se dietro un video … dietro un video il minimo possibile, però!