Dalle università contro lo scolasticidio e il massacro a Gaza
Lettere La stampa italiana, con poche eccezioni, sta silenziando l’attacco israeliano alla scuola di Nuseirat gestita dall’agenzia delle nazioni unite UNWRA che il 6 giugno ha ucciso oltre 40 palestinesi di […]
La stampa italiana, con poche eccezioni, sta silenziando l’attacco israeliano alla scuola di Nuseirat gestita dall’agenzia delle nazioni unite UNWRA che il 6 giugno ha ucciso oltre 40 palestinesi di cui moltissimi bambini e donne. La scuola era un rifugio dove avevano trovato ospitalità oltre 600 persone evacuate forzatamente dalle loro case. Ma ogni rifugio è diventato un bersaglio legittimato di una guerra psicologica che deumanizza la popolazione di Gaza distruggendo deliberatamente le infrastrutture civili della vita. Come ricercatrici e ricercatori, avvocate, docenti e collaboratrici della Clinica Legale Immigrazione, un progetto che si riconosce nella missione e nella responsabilità sociale dell’Università, rifiutiamo di essere complici di questo silenzio.
Nelle settimane scorse abbiamo sostenuto e collaborato alla difesa di S.B., educatore di un prestigioso liceo romano che, come effetto collaterale di questa stessa guerra psicologica portata con la retorica di stanare il nemico ovunque si trovi, ha perso il lavoro e lo status che gli aveva consentito di risiedere in Italia per oltre dieci anni, di costruire relazioni di amicizia con colleghe e colleghi e di cura con studenti che ha seguito per cicli scolastici che vanno dalle elementari al liceo. Sono state soprattutto le studenti e gli studenti a stringersi attorno a S.B. , testimoniando solidarietà e chiedendone la liberazione.
Non molti si sono soffermati sulla circostanza che S.B. sia stato licenziato da un prestigioso liceo per aver espresso orrore e rabbia nei confronti di una guerra di distruzione che ha colpito con ferocia proprio le scuole, le università le istituzioni della cultura. Quello in corso a Gaza è un vero e proprio “scolasticidio” – per utilizzare un termine che la ferocia ci ha reso familiare – nel quale sono state rase al suolo 371 scuole e hanno già perso la vita 4.327 studenti, 231 insegnanti e 94 professori universitari. Dietro ogni cifra, che è provvisoria e purtroppo destinata a crescere, ci sono legami di affetto, parentele, amicizie e relazioni che moltiplicano i traumi. Vite piene, proprio come quella di S.B., che la contabilità fredda delle cifre non restituisce.
Anche da questo punto di vista, la vicenda di S.F. è paradigmatica di come la guerra asimmetrica che si combatte in Palestina si ripercuota ben oltre i suoi confini, sui migranti delle diverse diaspore seguite alla scia di violenza lasciata dal colonialismo e dalla lotte di decolonizzazione del mondo arabo, come è per il caso di S.B.; e su quelli di nuovo arrivo, la cui condizione di profuganza è indotta dalla violenza dei confini, dalla violenza del razzismo e del patriarcato e dalle guerre per le risorse che accompagnano il capitalismo rapace.
Come ogni guerra, anche la guerra che sta devastando Gaza diventa in qualche modo fonte del diritto, nella misura in cui il parametro di interpretazione di un criterio come quello della sicurezza dello Stato ne è immancabilmente influenzato. Lo mostrano le molteplici dichiarazioni del Ministro dell’Interno Piantedosi, riportate dai siti ufficiali, sul mandato conferito agli apparati di sicurezza pubblica per attività di prevenzione del terrorismo che, dal 7 ottobre, hanno portato all’espulsione per motivi di sicurezza nazionale di moltissimi cittadini stranieri. È in questo clima che lo sdegno e la rabbia contro il massacro in Palestina diventano motivo di sospetto e il pericolo di radicalizzazione viene indebitamente chiamato in causa.
Nell’accanimento contro S.B. i messaggi su una chat di lavoro e su Instagram, che hanno dato avvio alla assurda vicenda che ha portato al licenziamento, a un’indagine penale e alla revoca dello status di rifugiato, non rilevano tanto per il loro contenuto ma per la profilazione dell’autore. La gabbia identitaria del radicalismo islamico è istituzionalmente e violentemente imposta dall’apparato securitario per spazzare via le identità incongruenti, come quella di S.B., cittadino dello diaspora algerina, berbero e dunque minoranza anche in patria, educatore dello Chateaubriand, licenziato dopo dieci anni di servizio, quasi a ricordarci che il francese è lingua coloniale.
È del 29 maggio una lettera aperta degli accademici e delle università di Gaza che denuncia distruzione delle infrastrutture civiche, scuole, università, ospedali, musei e biblioteche, e chiede misure urgenti di sostegno al sistema educativo. La lettera si apre affermando il proprio diritto a esistere, come università, come studenti e come docenti
Ci pare che anche la rivendicazione di S.B. sia innanzitutto una rivendicazione del diritto alla propria esistenza e che il sostegno alla lotta di S.B. possa essere un gesto concreto per richiamare la necessaria solidarietà internazionale contro lo scolasticidio e il massacro in corso a Gaza.