La vendita di Rai Way
Lettere Leggo con piacere l’articolo di Vincenzo Vita “Lo sciopero alla Rai“, notando il ravvedimento operoso dell’autore, che all’epoca era uno dei fautori della vendita di Rai Way. Insieme a tutto […]
Leggo con piacere l’articolo di Vincenzo Vita “Lo sciopero alla Rai“, notando il ravvedimento operoso dell’autore, che all’epoca era uno dei fautori della vendita di Rai Way. Insieme a tutto il governo dell’epoca e con l’accordo del segretario SLC-CGIL RAI Bruno Cosenz, sostenevano lo stesso progetto Renziano di oggi.
Diciamolo pure, solo ad opera dell’allora ministro Gasparri, che ne fece una questione di interesse strategico nazionale, Rai Way e la sua dorsale di ponti radio non furono svenduti. Liberare la RAI dalla politica è il sogno di molti, ma realizzarlo significa anche abbandonare tutte le alchimie ed i trasformismi che hanno caratterizzato il rapporto di questa grande azienda di comunicazione, con la sinistra italiana e i suoi rappresentanti.
Angelo Raffio, Roma
Ringrazio il lettore per lo spunto che offre di chiarire una vicenda all’apparenza solo “tecnica”. La società degli impianti e delle torri “Rai-Way” attiene ad un aspetto strategico, ingiustamente sottovalutato dal e nel dibattito politico.
Non c’è stato, da parte di scrive, alcun ravvedimento sull’argomento, come suppone la lettera. Provo a spiegare.
Oggi, dopo il taglio di 150 milioni di euro imposto alla Rai dal decreto Irpef, mettere sul mercato una quota dell’azienda tecnologica significa obiettivamente fare cassa: e con le spalle al muro -come è noto- non si tratta al meglio. Anzi. Nel 2000/2001, quando la Rai presieduta da Roberto Zaccaria decise di vendere il 49% di “Rai-Way” all’operatore americano “Crown Castle” – vale a dire al riferimento principale del settore – il quadro era del tutto diverso.
Intanto, quella quota minoritaria era valutata al tempo circa 400 milioni di euro, ben di più di oggi, a quanto pare. Inoltre, ecco il punto, con quell’operazione il servizio pubblico poteva potenziarsi subito ed entrare nel ciclo ancora fortunato del sistema integrato delle telecomunicazioni. Insomma, avrebbe anticipato la richiesta alquanto tardiva di questi giorni di far diventare la Rai una “media company”.
Come si vede, un progetto ben lontano da quello attuale. Non solo.
Nell’epoca del centrosinistra al governo vi era stato un tentativo di grande ambizione: la creazione di un’unica società a maggioranza pubblica delle reti. Ma Telecom e Mediaset non accettarono di conferire le loro strutture. Sarebbe stata – quella ipotesi- anche un modello alternativo alla privatizzazione tout court della compagnia telefonica. E l’Italia avrebbe assomigliato all’Europa.
Criticare l’approccio di Matteo Renzi sull’argomento “rete”-almeno questo- non richiede ravvedimenti. Ben altre sono le autocritiche che il centrosinistra dovrebbe farsi.
Vincenzo Vita