Lettera aperta al Presidente Mattarella, sulla violenza della polizia contro gli studenti
Lettere Gentile Presidente Mattarella, La disturbo per rappresentarle l’angoscia e il terrore che ho provato lo scorso venerdì 22 dicembre, quando mio figlio 17enne era alla manifestazione studentesca a Montecitorio e […]
Gentile Presidente Mattarella,
La disturbo per rappresentarle l’angoscia e il terrore che ho provato lo scorso venerdì 22 dicembre, quando mio figlio 17enne era alla manifestazione studentesca a Montecitorio e purtroppo è stato tra le vittime delle manganellate della polizia.
Mio figlio vive con la convinzione che è possibile realizzare una scuola più inclusiva, più aperta, più innovativa. E per questo è sceso in piazza con le amiche e gli amici del collettivo studentesco di cui fa parte, con i quali ha sviluppato soluzioni e prospettive in alcuni casi anche utopiche e apparentemente irrealizzabili.
Per questo motivo spesso mi trova schierata contro le sue scelte, perché credo che il ruolo del genitore a volte sia quello di mettere limiti e non avallare ogni pretesa. Non credo infatti che qualunque desiderio debba diventare un diritto. Ma lui ha la forza dei suoi 17 anni, l’ingenuità della possibilità infinita, la meraviglia di poter contare sulla rete delle compagne e dei compagni con cui si incontra, discute, progetta ogni martedì, sotto la pioggia e sotto il sole, da quando frequenta il Liceo.
Quest’anno anche l’occupazione, che a mio avviso a Roma è diventata una specie di rituale, è stata diversa: lui, le sue compagne e i suoi compagni si sono organizzati con altre scuole, hanno occupato tutti contemporaneamente, hanno ideato corsi per dimostrare che una scuola ai loro occhi più interessante, più attenta alla salute mentale, alla sessualità, all’affettività, è possibile.
Hanno chiesto alle istituzioni (in particolare al MiM, alla Regione e alla Città di Roma) 3 tavoli permanenti per discutere le loro esigenze e le loro idee. Nessuna delle istituzioni interpellate ha risposto. In questa cornice, la mia posizione è sempre costantemente quella di discuterci per riportare la sua protesta nell’alveo della legalità: occupare significa comunque fare un atto che blocca un servizio pubblico e secondo me è necessario trovare altre forme di protesta.
Appena le occupazioni sono terminate, lui, le sue amiche e i suoi amici hanno organizzato una manifestazione per cercare di chiedere e ottenere il tavolo di discussione con le istituzioni che tanto anelavano.
Agli occhi di noi adulti avranno anche modalità di richiesta sbagliate ma i motivi che li spingono a protestare sono comunque legittimi. Cercavano delle risposte ma l’unica risposta che hanno trovato sono stati i manganelli.
Non è pensabile che un genitore, che sa che il proprio figlio va a una manifestazione per partecipare alla cosa pubblica, alla polis, peraltro facendolo alle ore 17 del 22 dicembre (che non si derubrichi dicendo che le studentesse e gli studenti volevano saltare la scuola), deve ritrovarsi a scoprire sulla chat dei genitori della scuola, sulle principali testate giornalistiche e, più tardi, per telefono dalla viva voce del proprio figlio (che cercava pure di tranquillizzarmi), che è stato preso a manganellate insieme a molti dei manifestanti.
Le devo dire che sono davvero esterrefatta da tutto questo e mi sono sentita malissimo: come posso guardare in faccia mio figlio e dirgli che si deve fidare dello Stato e delle sue istituzioni, che deve rispettare sempre e comunque, quando quello stesso Stato, attraverso i rappresentanti delle forze dell’ordine, manganella studenti e studentesse inermi che stanno esercitando il loro diritto alla protesta?
Mio figlio, le sue compagni e i suoi compagni, oltre al loro corpo e alla loro voci, non avevano tra le mani che uno striscione.
La polizia invece aveva caschi, scudi e manganelli. E li ha scaraventati contro dei minorenni.
Dopo la manifestazione, per descrivere solo le situazioni che conosco, mio figlio aveva uno zigomo gonfio, un suo amico la gengiva traumatizzata, un altro amico un ematoma in testa causato da un colpo che lo ha steso a terra, facendogli vedere tutto nero per qualche secondo. Troppo spesso si assiste ormai a reazioni violente della polizia che dovrebbe tutelarci e proteggerci, non massacrarci quando ci interessiamo in maniera pacifica alla cosa pubblica.
Viviamo in uno Stato la cui democrazia è sempre meno rappresentativa, come hanno dimostrato le ultime elezioni politiche. In particolare i giovani tra i 18 e 30 anni sono talmente sfiduciati da non andare più alle urne. E ai pochi che si attivano lo Stato come risponde? Ammutolendoli con una risposta violenta e repressiva.
Se si ritiene che questo sia il modo di aumentare la fiducia nelle istituzioni, temo che sia tanto surreale quanto poco democratico.
Se si ritiene che la polizia debba gestire così il dissenso pacifico dei giovani, temo che questo non sia tanto in linea con i valori della nostra Costituzione.
Se si ritiene che questo sia il modo di trattare e di ascoltare le donne e gli uomini di domani, temo che si stia piuttosto lavorando perfettamente e scientemente per annientare il loro futuro.
Chiedo con molta determinazione alle istituzioni tutte, a partire da quella che Lei rappresenta al meglio, di farsi garante che queste azioni violente da parte delle forze dell’ordine non accadano mai più, anche per non alzare il livello della tensione e polarizzare le posizioni.
Certa che Lei possa dare la giusta risonanza alle mie parole e possa intervenire nella maniera più corretta, resto in attesa di una gentile risposta, ringrazio dell’attenzione e invio i miei più sentiti auguri di buone Feste.