L’Università del non dissenso
Lettere Nella serata di lunedì 10 giugno, a sessione inaugurata e ad elezioni europee scrutinate, la Magnifica Rettrice dell’Università La Sapienza ha scelto di usufruire (e abusare) della mailing list studentesca […]
Nella serata di lunedì 10 giugno, a sessione inaugurata e ad elezioni europee scrutinate, la Magnifica Rettrice dell’Università La Sapienza ha scelto di usufruire (e abusare) della mailing list studentesca per inoltrare sue comunicazioni circa le mobilitazioni che hanno colorato e animato la città universitaria negli ultimi mesi.
Nel corso della mail, un comunicato a reti unificate senza capo né coda degno dei toni di una circolare ministeriale, viene tratteggiato un succinto quanto blando bilancio dei danni arrecati alle strutture e dei costi necessari per ripristinare lo status quo ante.
Lo sdegno del Rettorato per i graffiti che si sono moltiplicati notte dopo notte fa eco con le posizioni assunte istituzionalmente dagli organi collegiali universitari: un lasco invito alla pace, svuotata di ogni suo significato politico, e la fermezza nel voler mantenere rapporti con le università israeliane attraverso i bandi della Farnesina.
Nessun accenno rispetto ai metodi coi quali si è gestito il dissenso nel corso di questi mesi, repressivi al punto da aver normalizzato l’ingombrante presenza delle camionette della celere tra le vie universitarie ogniqualvolta si proponesse un corteo, organizzato o spontaneo che fosse. Nessun commento rispetto alle cause delle proteste, al loro carattere eticamente provocatorio, né rispetto alla concentrazione d’interessi che sta inquinando sempre di più la comunità accademica, così esplicita che addirittura la famiglia Rothschild non si è preoccupata di uscire allo scoperto pressando il Senato Accademico con una missiva.
L’ipotesto delle considerazioni espresse dalla rettrice è meno criptico di quanto si voglia pensare.
La Sapienza rimane una comunità culturalmente chiusa, dove coagulare interessi estranei ai fini accademici, sulla falsariga di una tendenza in atto da decenni, luogo che si fa limpida espressione del pensiero dominante, perfetta per neutralizzare l’effervescenza della società civile, non tanto diversamente, se non nella forma, di quanto avvenga nelle università delle peggiori teocrazie; un luogo incancrenito da dogmatismi accademici, che cristallizzano il sapere e non contemplano lo sperimentalismo politico che abbiamo respirato in questi mesi.
E così, a due passi dall’estate e a percorso mobilitativo maturato (raccoltosi in un’assemblea nazionale presso la Facoltà di Lettere), ciò che rimane attraversando le vie della Sapienza sono qualche cantiere in più per confinare ulteriormente gli spazi di protesta e un po’ di acqua sulle pareti di quegli edifici, tirati su dall’estetica fascista sensibile al decoro e al quadrato, sanzionati da ineffabili frasi che col riso vogliono scardinare paure e potere.