Debutterà il 22 maggio al Teatro No’hma di Milano la pièce Magellano, tratta dall’omonimo fortunato romanzo di Gianluca Barbera (Castelvecchi, pp. 400, euro 17,50): in scena Cochi Ponzoni, assieme al trio del contrabbassista Luca Garlaschelli con Giuseppe Milici (armonica) e Roberto Gervasi (fisarmonica).

L’ADATTAMENTO dal libro è curato dallo stesso autore, che ribadisce la scelta del ritrovamento del manoscritto del basco Juan Sebastián Del Cano, per inscenare il ricordo evocativo della prima circumnavigazione del globo terrestre: il teatro, dunque, come biografia del grande esploratore portoghese Fernão de Magalhães (1480 – 1521), in cui il romanziere emiliano (senese d’adozione) torna ad affrontare la Storia con la S maiuscola, grazie all’alter ego Del Cano, che, dostoevskianamente, risulta il «doppio» di Magellano, svelando l’impresa di ben tre anni, che da Siviglia porta una flotta di cinque navi a solcare l’Atlantico fino all’odierno Stretto appunto di Magellano nell’inospitale Terra del Fuoco, onde trovare il varco per avvicinarsi alle Isole Molucche (da cui fare incetta di preziosissime e costosissime spezie).

Quasi prossimo all’Antartide, nonostante la rivolta degli ufficiali spagnoli, l’ammiraglio conduce i vascelli (ormai solo tre) sul Pacifico dove li attengono tre mesi di navigazione forzata senza incontrare terra. Allo stremo delle forze, quando il cibo è finito e la morte sembra prossima, Magellano intravede le coste delle future Filippine: ci vorranno altri mesi, a causa di calcoli geografici errati, per approdare alle Molucche, ma, nel frattempo, proprio Magellano muore ammazzato, compiendo in fondo l’unico fatale errore dell’intera spedizione per eccessiva brama di potere e di conquista verso le popolazioni locali: convinto della superiorità militare, cade nell’imboscata di indigeni da poco convertiti al cattolicesimo, ma intelligentemente scettici verso i propositi dei colonizzatori.

SENZA IL «CAPO», Del Cano assume il comando, trova le Molucche, riempie le stive di merci preziose da destinare al sovrano di Spagna, torna in patria lungo una rotta già collaudata: ma il re lusitano, in guerra contro i Castigliani, maldigerisce la notizia di un conterraneo (Magellano, appunto) al soldo della bandiera giallorossa. L’arrivo a Siviglia dell’unica caravella superstite è infine accolto con tutti gli onori del caso e la carriera di Del Cano (da Barbera peraltro evitata) proseguirà nel ripetere un secondo giro del mondo, che però si ferma vicino allo stretto sopracitato dove egli, a sua volta, perde la vita e le imbarcazioni.
Anche a teatro, la riduzione di Barbera non approfondisce un evento già molto noto, di cui restano comunque luci e ombre (e irrisolti molti temi annotati in parte da Pigafetta nel diario di bordo), perché vuole invece parlare di avventura, usando in parte le lusinghe del romanzo d’appendice; pur nei tagli necessari con il passaggio dal libro alla scena il Magellano teatrale, resta, a livello stilistico, asciutto, controllato, quasi giornalistico: i due personaggi risultano tra loro in perenne conflitto, fintanto che Del Cano (novello Ulisse) ha la meglio con l’ingegno e l’astuzia, tradendo ben tre volte il Magellano che gli fa da padre severo e da fratello maggiore.

IL SENSO DI COLPA serpeggia ovunque, perché, a voler leggere tra le righe, non c’è solo la vicenda di uno o due navigatori e di una mission impossibile, ma resta anche una letteratura teatrale che tenta di capire lo status «presente» attraverso un esempio «passato»: intrighi, mire, sogni, delusioni affiancano tutti i protagonisti, spingendoli di conseguenza ad agire o reagire, forse quale metafora dell’Italia di oggi dove le certezze di ieri stanno magari svanendo, «naufragando» forse definitivamente.