Nella giornata di ieri, 6 agosto, il Giappone ha commemorato a Hiroshima il 75° anniversario del primo attacco nucleare nella storia dell’umanità. Alle 8:15 del 6 agosto 1945 esplodeva sui cieli della città portuale giapponese la bomba nucleare «Little Boy», sganciata dall’aviazione statunitense. Tre giorni dopo, un secondo ordigno colpì la città di Nagasaki, costringendo il Giappone alla resa nel secondo conflitto mondiale.

Le due bombe causarono oltre 200mila morti. I superstiti, in giapponese «hibakusha», dagli anni Cinquanta sono impegnati in campagne per il disarmo nucleare. Secondo i dati del ministero della Salute giapponese, a marzo 2020 si contavano 136.682 «hibakusha», con un’età media di 83 anni. Dall’anno precedente ne sono morti più di 9mila.

OGNI ANNO, LA CERIMONIA ufficiale organizzata presso l’Hiroshima Peace Memorial attrae migliaia di partecipanti ed è considerata un punto di riferimento per il movimento internazionale per il disarmo nucleare. Quest’anno, causa coronavirus, la cerimonia si è tenuta in forma ristretta, limitando la presenza dal vivo al memoriale a poco più di 800 persone; un decimo, rispetto agli anni precedenti.
Dopo il minuto di silenzio osservato alle 8:15, il sindaco di Hiroshima Kazumi Matzui ha riaffermato l’appello per un mondo definitivamente denuclearizzato. «Non possiamo permettere che questo passato doloroso si ripeta – ha detto -, la società civile deve respingere nazionalismi e isolazionismi e unirsi contro tutte le minacce».

Matzui si è poi appellato direttamente al governo giapponese, auspicando che l’esecutivo decida finalmente di firmare e ratificare il Trattato per la proibizione delle armi nucleari. L’adesione del Giappone, unico Stato ad aver subìto un attacco nucleare, avrebbe un grande peso simbolico e, secondo Matzui, contribuirebbe a «unire il mondo nello spirito di Hiroshima».

IL TRATTATO, adottato dalle Nazioni Unite nel 2017, prevede la messa al bando e la totale abolizione delle armi nucleari. Per entrare in vigore e divenire legalmente vincolante, deve essere firmato e ratificato da almeno 50 Stati. Ad oggi, con la firma e ratifica del Botswana, l’adesione ha raggiunto quota 40.

Nessuna delle potenze nucleari lo ha ratificato né ha intenzione di farlo. E lo stesso vale per i rispettivi alleati tra cui il Giappone, che al momento ospita oltre 50mila truppe statunitensi sul proprio territorio ed è protetto dal Trattato di sicurezza tra Usa e Giappone. Il documento, firmato nel 1951, tra l’altro proibisce al Giappone lo sviluppo di un arsenale nucleare, in cambio della protezione garantita dalla «Nuclear Umbrella» statunitense.

Il primo ministro giapponese Shinzo Abe, che ha presenziato alla cerimonia di Hiroshima, nel suo discorso ufficiale ha detto: «Come unico Paese ad aver provato la devastazione nucleare nel mondo, la nostra missione rimane avanzare passo dopo passo contribuendo agli sforzi della comunità internazionale per un mondo libero dagli armamenti nucleari».

DICHIARAZIONE GIUDICATA troppo debole e ipocrita dai detrattori del governo Abe, che accusano il premier di voler imprimere al Paese una svolta nazionalista e interventista in netto contrasto con la tradizione «pacifista» del Giappone post-bellico. Abe è stato infatti aspramente criticato sia per la mancata ratifica del Trattato, sia per aver promosso la riforma della Costituzione pacifista giapponese.

PER EFFETTO DELL’ARTICOLO 9 della Costituzione, il Giappone dal 1947 rifiuta la guerra come strumento per dirimere contenziosi tra Stati e non mantiene un vero e proprio esercito regolare. Al suo posto, dispone di «corpi militari di autodifesa» che possono intervenire o per difendere la sovranità del Giappone o – per effetto di una reinterpretazione della costituzione promulgata dallo stesso Abe nel 2014 – per prestare supporto a truppe alleate coinvolte in un conflitto.