Editoriale

Perché non sia solo «Vieni avanti Giuseppi»

Perché non sia solo «Vieni avanti Giuseppi» – Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaP

Nuovo governo/Agenda estera Proviamo a immaginare l’agenda di politica estera di Conte traendo qualche spunto dal recente passato. In primis del rapporto con gli Stati Uniti. L’endorsement di Trump a «Giuseppi» ha fatto parlare quasi più la stampa estera che quella italiana e i partiti di casa nostra

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 4 settembre 2019

C’è poco da ridere. In Italia l’ilarità sui governi non dipende solo dall’arrivo in politica del comico Grillo: che dire infatti della Casellati, ora presidente del Senato, che, ancora al governo, sosteneva con convinzione che Ruby era la nipote di Mubarak – hanno riso a crepapelle sull’altra sponda del Mediterraneo, dove ridono di meno quando pensano che con il governo Berlusconi e il presidente Napolitano l’Italia nel 2011 ha bombardato Gheddafi, il suo maggiore alleato nel Mediterraneo con cui aveva firmato sei mesi prima accordi approvati dal 98% del Parlamento, da destra a sinistra.

Ma proviamo a immaginare l’agenda di politica estera di Conte traendo qualche spunto dal recente passato. In primis del rapporto con gli Stati Uniti. L’endorsement di Trump a «Giuseppi» ha fatto parlare quasi più la stampa estera che quella italiana e i partiti di casa nostra.

Il motivo è semplice. La destra si vergogna di rimproverare il presidente Usa sul quale Salvini è sdraiato come un tappetino (Iran e Nato). Il Pd poi è così sdraiato sull’Alleanza atlantica e l’industria bellica della Difesa che ne è il volano, che non riesce a vedere neppure l’orizzonte del pavimento. Pur considerando Trump il simbolo della destra mondiale più regressiva, il Pd non ha fiatato per non creare imbarazzo nella trattativa con i pentastellati. E Conte, che nessuno ha mai eletto, che nessuno conosceva fino a un anno fa, che si è bevuto da Trump la balla della «cabina di regia» in Libia, parla al mondo come De Gasperi. Basta avere ascoltato il suo discorso di chiusura a luglio della Conferenza degli ambasciatori alla Farnesina in cui l’ancoraggio atlantico e gli Usa sono definiti il «faro della nostra politica estera», cui ha fatto eco nella stessa occasione anche il ministro-ectoplasma, Moavero Milanesi.

E senza mai accennare ovviamente al costo delle basi militari, alla spesa – che resta – per gli F-35 e alle testate atomiche Usa che schieriamo sul nostro territorio insieme al silenzio del governo M5s-Lega sullo storico Trattato Inf sulle armi atomiche intermedie stracciato da Trump.

DATE QUESTE PREMESSE, il secondo governo Conte, in politica estera – visto lo zero assoluto nel merito dei fatidici punti della piattaforma Rousseau – rischia di non distanziarsi molto dal primo Conte: il quale, oltre a non dire una parola contro Salvini, che ha fatto da ministero degli interni la politica estera del suo governo – se non l’ultimo giorno di scuola – non aveva detto nulla sulla scriteriata mossa di Moavero che per ingraziarsi la Lega, assai filo-Netanyahu, era andato quest’anno a Varsavia per presenziare a un riunione anti-Iran cui per altro non avevano partecipato neppure i ministri degli Esteri di Francia e Germania.

DEL RESTO CONTE fin qui nonha mai detto una parola sui bombardamenti di Israele in tutto il Medio Oriente e sul destino sempre più incerto dei Territori palestinesi occupati? I suoi viaggi all’estero sono stati caratterizzati da un basso profilo, anche volutamente per non disturbare Lega e 5Stelle. Sull’agenda di Conte al primo posto c’era scritto a caratteri cubitali “Non disturbare il manovratore”, ovvero gli Stati uniti che, per altro, proprio ai 5Stelle si sono rivolti quando l’ambasciatore americano a Roma Eisenberg – il cassiere di Trump – ha cercato di capire un po’ di più sullo scandalo Russiagate che coinvolge la Lega di Salvini.

A essere un po’ crudi quello che si definisce l’«avvocato degli italiani» rischia di apparire in realtà come il portavoce degli americani, visto come si è bevuto d’un fiato le panzane di Trump sulla «cabina di regia» dell’Italia in Libia, il «posto sicuro» per i migranti e dove è riscoppiata una feroce guerra civile del resto mai finita.

Perché non solo gli Usa non ci danno retta ma come i francesi ci sbeffeggiano e hanno appoggiato il generale Khalifa Haftar contro il governo di Tripoli sostenuto dagli italiani. Quanto all’Unione europea, Conte si è guadagnato il plauso delle maggiori cancellerie europee con l’appoggio alla candidatura alla presidenza della Commissione Ue della tedesca Van der Leyen, che è stata la prova generale del dialogo tra Pd- 5Stelle.

VOLENDO PROCEDERE si potrebbe parlare anche di Iran, Russia e Cina. Perché il primo governo Conte è stato caratterizzato da atteggiamenti diversi tra Lega e pentastellati, com’è stato per la crisi in Venezuela di fronte al golpe istituzionale dell’autoproclamato «presidente» Guaidó.

SALVINI, sul Medio Oriente, si è schierato decisamente con il premier israeliano Netanyahu al punto da mettere a rischio le truppe italiane in Libano (solo pochi giorni fa l’aviazione israeliana ha bombardato la Valle della Bekaa), definendo durante la sua visita a Gerusalemme gli Hezbollah, che sono al governo in Libano – e che con iraniani e russi sono rimasti a combattere l’Isis in Siria – , come dei «terroristi»; e poi appoggiando in toto la posizione americana sullo storico accordo sul nucleare con l’Iran firmato da Obama, che Trump ha cancellato.

SOLTANTO per questo ci sarebbe da essere contenti che a Salvini abbiano rifilato un pedatone, cosa che del resto ha fatto egregiamente Putin con le intercettazioni del Metropole per conto dell’ambasciata d’Italia, dei servizi e di Berlusconi. Un incoraggiamento per i 5Stelle a cambiare cavallo. I Cinque Stelle – non Conte che in proposito non aveva mai nulla da dire – hanno inviato il presidente della commissione esteri del Senato Vito Petrocelli in visita sia a Teheran che a Mosca. Agli iraniani Petrocelli ha spiegato che la posizione anti-Teheran della Lega non era condivisa dai Cinquestelle e tanto meno dall’establishment economico italiano. Anche se in concreto il governo passato ha fatto poco e nei sei mesi di sospensione delle sanzioni accordati dagli Usa, l’Italia non ha acquistato dall’Iran neppure una goccia di petrolio.

C’È POI L’APPROCCIO con Mosca dove Conte è andato in visita. La presa di posizione più significativa è venuta ancora una volta dalla Commissione Affari esteri del Senato: nella relazione del viaggio di Petrocelli (16-19 giugno 2019) si può leggere che «l’Italia è propensa, soprattutto nella presente congiuntura politica, a porsi come soggetto equidistante tra gli Stati Uniti e la Russia, pur non rinnegando la propria appartenenza all’Unione europea e alla Nato». Ed ecco che poi Conte ha appoggiato al G-7 la richiesta di Trump di riammettere la Russia di Putin che prova ora a smarcarsi dallo schieramento sovranista, e sta riaprendo al malconcio asse franco tedesco, cominciando a trattare davvero sull’Ucraina – «il Donbass deve avere una soluzione interna, non è come la Crimea» -, anche grazie alla defenestrazione di Poroshenko e alla nuova ledaership ucraina di Zelensky.

PER QUANTO riguarda la Cina, l’Italia ha firmato il protocollo d’intesa sulla Via della Seta avviata da Xi Jinping. Intanto che fine fa quel protocollo, ma soprattutto l’adesione a quella prospettiva è parsa segnata solo dall’aspetto del business, dimenticando i contenuti necessari, in termini di diritti umani e sociali (dei lavoratori in particolare). L’epoca che stiamo vivendo è quella della guerra dei dazi che il sovranista-isolazionista dell’America first sta scatenando e che ridisegna strategie e alleanze nel mondo.

TRUMP È NEMICO dell’unità europea, ha spinto sulla Brexit e ora appoggia il «golpista» Boris Johnson; anche Putin non ama la forza dell’Ue – anche perché surrogata spesso dalla Nato che ne indirizza la politica estera e gli schiera truppe e missili ai confini – ma la guerra dei dazi e la crisi economico-sociale interna lo spinge a collegarsi all’asse franco-tedesco; la Cina, primo obiettivo nemico da colpire dei duri raid economici di Trump, corre ad allearsi con tutti, rimodellando la natura dell’Asia. Ma tutto questo per ora riguarda un cambio della politica estera italiana? Siamo solo alle posizioni tattiche di Conte per accreditarsi fuori dall’Italia. La sua vera credibilità internazionale è apparsa solo quando si è disfatto del cavallo Salvini, dopo esserci stato in groppa per 14 mesi. Ce ne vuole par parlare di «statura» e perché non sia ricordato solo come quello cui Trump ha detto chiaro e forte: «Vieni avanti, Giuseppi».

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