Editoriale

Perché siamo felici per Greta e Vanessa

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Libere Le critiche e le calunnie non mancheranno, ma le due cooperanti hanno resistito a sei mesi di prigionia e sapranno superare accuse infamanti di chi specula sui riscatti pagati per gli ostaggi ma non protesta per le spese molto più ingenti sostenute per comprare armamenti e per alimentare le guerre che devastano paesi e provocano esodi di massa di popolazioni

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 16 gennaio 2015

Vanessa Marzullo e Greta Ramelli libere! «Presto saranno in Italia», nel pomeriggio la conferma della Farnesina. Mentre scriviamo dovrebbero già essere in Turchia. Ma la notizia della liberazione era stata già diffusa prima da fonti dell’opposizione siriana, compreso il Fronte al Nusra (citato da al Jazeera) che le aveva in ostaggio.

Alle prime indiscrezioni, l’esultanza per una notizia tanto attesa e desiderata è frenata dalla consapevolezza della delicatezza dei momenti che precedono la liberazione. O forse anche dall’angoscia che ci ha paralizzato di fronte alle azioni terroristiche di Parigi. È come se quel dolore ci mantenesse in un limbo in cui è difficile provare gioia.
E invece la liberazione di Greta e Vanessa rappresenta quasi un riscatto per chi non vuole rassegnarsi alla barbarie, all’orrore. Le due giovani erano state rapite il 31 luglio scorso, durante una missione umanitaria, e solo alla fine di dicembre un video ci aveva rassicurate: erano ancora in vita. Ora sono anche libere, grazie evidentemente all’abilità di chi ha condotto la trattativa.

Noi siamo felici perché abbiamo trepidato ogni giorno pensando all’orrore di una prigionia nelle mani di gruppi jihadisti che ti potrebbero uccidere da un momento all’altro.

La generosità e l’altruismo che le aveva portate dentro l’inferno siriano per un’azione umanitaria sono un segno di distinzione dentro un mondo sempre più indifferente alle tragedie che travolgono paesi tanto vicini al nostro. Persino la loro ingenuità – criticata da molti – oggi ci appare sotto un’altra luce, perché sappiamo che non è costata loro la vita.

Non mancheranno le critiche di coloro che non vogliono la trattativa per salvare gli ostaggi, di coloro che ritengono che le donne dovrebbero starsene a casa e non occuparsi di lavori «da uomini». Sappiamo che le donne sono un obiettivo facile da colpire anche quando hanno vissuto esperienze drammatiche. Le critiche e le calunnie non mancheranno, ma Vanessa e Greta che hanno resistito a sei mesi di prigionia sapranno superare accuse infamanti di chi specula sui riscatti pagati per gli ostaggi ma non protesta per le spese molto più ingenti sostenute per comprare armamenti e per alimentare le guerre che devastano paesi e provocano esodi di massa di popolazioni. Sono gli stessi che vorrebbero anche respingere i profughi quando approdano in condizioni terribili sulle nostre coste.

La «fortuna» delle due cooperanti dell’associazione Horryaty è di non essere finite nelle mani dello Stato islamico in Iraq e nel Levante (Isil) che ha reagito violentemente alla liberazione di Greta e Vanessa. Non che i jihadisti del Fronte al Nusra siano meno violenti ma almeno non hanno fatto dei video di ostaggi sgozzati lo strumento della loro campagna di reclutamento e di finanziamento.

Insieme a Vanessa e Greta vorremmo vedere tornare anche padre Paolo Dall’Oglio. Dovremo aspettare ancora, ma padre Dall’Oglio è un ostaggio importante e questo ci dovrebbe rassicurare sulla sua salvezza.

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