«La differenza sta nella cura verso un’etica della memoria che dovrebbe essere condivisa, visto che tale cura non si può insegnare se non attraverso l’esempio, e avere cura per la nostra memoria significa anche stare sulla soglia del dolore, di ciò che è stato e che ad Auschwitz ci viene ricordato a ogni singolo passo». Invece persino lì dove il dolore umano sembrò arrivare al culmine si precipita oggi nell’omologazione assurda dei ricordi, con un brand turistico che rischia di banalizzare ogni avvenimento del passato per bloccare la persona in un «eterno presente».

È UN’AMARA CONSTATAZIONE dopo un viaggio studio nel campo di concentramento quella racchiusa in un passo, uno dei tanti in cui viene sviscerata l’essenza del nostro modo di vivere, di Il tempo non esiste. L’uomo nell’eterno presente di Rossano Baronciani (Effequ, pp. 304, euro 15), libro – che si legge tutto d’un fiato – sulla crisi epocale che viviamo, immersi appunto dentro un passaggio storico delicato e denso di pericoli. Non senza squarci di memoria personale che aiuta a penetrare nel mondo in cui la storia intesa come rapporto col passato per progettare un futuro sembra «terminata» in un «fermo immagine» e in un chiacchiericcio inconcludente. Sembra, naturalmente, perché parliamo di un presente illuso di avere un’eternità davanti quando invece è ormai evidente a tutti la sua malattia.

CON L’AIUTO DI CINEMA, pittura, letteratura (Baronciani è un docente di Etica della comunicazione e antropologia culturale all’Accademia di Belle Arti, già autore di saggi tra cui quello sulla mutazione digitale Nella tana del bianconiglio) si dipana questo libro composito prendendo come «accompagnatori» di viaggio tanti artisti, tra cui il José Saramago del «siamo diventati ciechi, ciechi che vedono, ciechi che, pur vedendo, non vedono». E così il volume diviso in due sezioni ma in realtà con un miscuglio vitalmente fruttuoso di passaggi dall’antropologia all’arte, dall’uso delle immagini ai reality show, dai social con la loro finta comunicazione alla politica (l’affaire Moro, spartiacque giustamente presente), rimette al centro un dibattito urgente perché il dramma di un’atroce «solitudine di massa» non degeneri ulteriormente com’è accaduto nei passaggi forti delle crisi epocali del passato.

NELLA SECONDA PARTE, «La società pornografica», l’autore analizza la prepotenza dell’apparenza nella nostra vita. «Dove non c’è più storia rimane solo la narrazione fine a se stessa, e là dove ogni immagine, notizia o informazione viene pensata e riprodotta per esibire ed eccitare, proprio quello diviene il luogo in cui ogni contenuto legittima l’osceno. E ogni immagine è un tassello, composito e ordinato, della nostra attuale società pornografica». Il tempo (cioè il rapporto col passato per costruire il futuro), suggerisce l’autore, deve quindi ritornare ad esistere urgentemente, rimettendo al centro dello scontro-incontro tra le persone, le grandi questioni ideali e politiche, sociali e artistiche.