Sebbene Dopo lo spettacolo (traduzione di Laura Testaverde, Lindau, pp. 464, € 26,00) sia il primo romanzo di Hirano Keiichiro a essere tradotto in Italia, il suo debutto come scrittore risale a più di vent’anni fa, con Nisshoku (Eclisse, 1998). Il libro suscitò grande impressione per la maturità con cui lo scrittore ventitreenne governava una storia ambientata nella Francia del XV secolo, e per la ricchezza del lessico, caratterizzato da termini stravaganti e desueti. In una scena letteraria in cui autori severi e engagé come Oe Kenzaburo si difendevano dall’assalto di scrittori contaminati da suggestioni pop quali Murakami Haruki e Yoshimoto Banana, Hirano indicava una strada diversa, non riconducibile a alcun modello. Ma i critici non rinunciano mai a individuare corrispondenze, e così il suo nome venne accostato a quello di Mishima.

In realtà Hirano non aveva molto in comune con il grande scrittore morto suicida nel 1970, di cui pure è appassionato studioso, a parte lo stile ricercato e i virtuosismi lessicali. Fu notata anche una certa somiglianza, per trama e atmosfere, con Il nome della rosa di Eco. Eclisse raccontava le vicende di un giovane domenicano alla ricerca di un antico manoscritto, che in un villaggio del sud della Francia si imbatte in un misterioso e laconico alchimista, depositario di molti segreti. Con il conferimento dell’Akutagawa, il massimo riconoscimento letterario nipponico, Hirano divenne l’autore più giovane a ricevere il premio e il libro vendette oltre 400.000 copie.

Nelle strade del mondo
Il suo romanzo successivo, apparso appena pochi mesi dopo il primo, sebbene ambientato in Giappone, confermava l’attrazione di Hirano per scenari storici lontani e per una raffinatezza stilistica che rasentava l’anacronismo. Ma nel corso del tempo i suoi interessi si sono progressivamente spostati verso il presente, sia nella scelta dei temi che nella sua attenzione verso la società e la politica, evidente anche negli interventi pubblici, nelle interviste, nell’attività di conferenziere. L’impressione è che Hirano abbia disciplinato il proprio talento, trasformando l’erudizione in qualcosa di meno effimero, più profondo e condivisibile.

Il frutto più prezioso di questa evoluzione è Dopo lo spettacolo, un romanzo in cui lo scrittore, dalle vertiginose e solitarie altezze delle opere precedenti, scende nelle strade del mondo per raccontare una storia d’amore le cui vicende si intrecciano con gli avvenimenti della guerra in Iraq, ma anche con complesse questioni di musica e arte. La capacità di Hirano di collegare gli elementi più eterogenei è impareggiabile, e riesce a tenere insieme il motto di Edward M. Forster «only connect» con la nostra realtà contemporanea di iperconnessi. Non a caso alcuni importanti snodi narrativi sono legati a scambi di mail, messaggi, e i telefoni cellulari giocano un ruolo di primaria importanza.
I protagonisti del romanzo sono Satoshi e Yoko: lui è un chitarrista classico che vive a Tokyo, lei lavora per un’agenzia di stampa con sede a Parigi e trascorre lunghi periodi in Iraq. L’incontro tra i due è apparentemente casuale ma in realtà è stato a lungo preparato dal destino. Come in ogni feuilleton gli indizi, dapprima apparentemente slegati, all’improvviso si combinano producendo incroci fatali. Yoko aveva assistito anni prima a un concerto di Satoshi, e lui nutriva da sempre una sconfinata ammirazione per il regista croato Jerko Šolic, padre di lei. Subito separati dai rispettivi impegni, Satoshi e Yoko iniziano a comunicare via mail, e l’attrazione reciproca provata la prima sera è rafforzata da questi scambi. Intanto le loro vite procedono su binari paralleli e distanti. Yoko sopravvive a un attentato terroristico in Iraq, Satoshi si scontra con una grave crisi artistica che mette a rischio la sua carriera, ma i due si ritrovano a Parigi, dove Yoko ospita una rifugiata irachena, e la loro prima notte insieme, casta e appassionata, trascorre nel segno della Storia e delle sue tragedie. Dopo questa fuggevole riunione, i rispettivi impegni costringono Satoshi e Yoko a separarsi di nuovo e le loro vite proseguono a distanza, gravide di problemi e difficoltà.

La straordinaria capacità di Hirano di entrare nei due mondi dei protagonisti si poggia sulla solida base di una documentazione accuratissima e anche su una singolare capacità di immedesimazione nei personaggi. Sono, naturalmente, qualità che dovrebbero essere connaturate a ogni autore di narrativa, ma la lettura di tanti romanzi, soprattutto recenti, ci mostra quanto siano virtù rare. Hirano è in ogni azione, in ogni gesto dei personaggi, anche se sentiamo la sua presenza gravitare più in prossimità del protagonista maschile che di quella femminile. Quindi, anche se il libro è scritto in terza persona, un invisibile io narrante si nasconde dietro l’apparente neutralità del racconto.

Una svolta triviale ma necessaria
A un certo punto l’armonia della comunicazione, che tra i due innamorati era proseguita fluida nonostante la separazione fisica, proprio quando i due sono ormai vicinissimi (Yoko è venuta a Tokyo per incontrare Satoshi), si interrompe in seguito a un episodio da feuilleton (adattato all’era digitale, dato che esso si attua attraverso l’uso di dispositivi elettronici). La svolta narrativa può apparire ingenua, ed è stata giudicata poco convincente dalla scrittrice Hayashi Mariko, come riferisce nella sua postfazione Laura Testaverde, alla quale dobbiamo anche l’eccellente traduzione. Anche io ho provato un certo disagio per questo colpo di scena che appare estraneo al gusto sofisticato di Hirano, e pericolosamente vicino alle sceneggiature dei terebi dorama, le fiction televisive giapponesi. Eppure, a lettura conclusa, ripercorrendo a ritroso le vicende dei protagonisti, ho dovuto concludere che la loro storia sarebbe impensabile senza quello snodo narrativo, non diversamente da come Tess dei D’Uberville di Thomas Hardy sarebbe impensabile senza l’episodio della lettera-confessione che, infilata da Tess sotto la porta del promesso sposo Angel, va a finire tra pavimento e tappeto e passa inosservata, generando equivoci e infine tragedie.

È quindi ragionevole, anzi doveroso accettare che uno scrittore raffinato come Hirano attinga a quel repertorio di espedienti teatrali che nella loro apparente banalità possiedono la chiave della potenza narrativa. Del resto, l’effetto sliding doors prodotto da tale incidente non serve solo a creare suspence e ad avvincere sempre di più il lettore nella rete del racconto, ma a sviluppare una riflessione profonda su tutto ciò che nella vita potrebbe restare – e spesso resta – non vissuto a causa di incidenti fortuiti, incontri mancati, dimenticanze, bugie.