Addio a Sinisa Mihajlovic, mille battaglie sui campi di gioco e in panchina
Calcio L'allenatore serbo morto a 53 anni sconfitto dalla leucemia. Lo scudetto con la Lazio da giocatore, allenatore per Inter, Catania, Milan e Bologna
Calcio L'allenatore serbo morto a 53 anni sconfitto dalla leucemia. Lo scudetto con la Lazio da giocatore, allenatore per Inter, Catania, Milan e Bologna
Il dolore è collettivo per la scomparsa di Sinisa Mihajlovic, morto ieri all’ospedale Paideia a Roma. Non solo perché l’ex calciatore e allenatore serbo era diventato un pezzo d’Italia, oppure perché aveva appena 53 anni. Mihajlovic aveva mostrato uno straordinario coraggio e voglia di vivere di fronte a una malattia orribile, aggressiva. Il suo pensiero fisso era rivolto alla panchina, verso i suoi calciatori al Bologna, che ha allenato sino a quasi tre mesi fa.Il calcio, il lavoro e l’amore di una vita. La cura dell’anima per lenire il dolore del corpo di questi ultimi tre anni. Questo è accaduto dopo le prime cure nell’estate del 2019, mostrandosi in panchina, a Verona, ad agosto, consumato dai trattamenti per la leucemia, gracile, emaciato, ma comunque in piedi a dare indicazioni ai suoi ragazzi. Poi, gli allenamenti diretti via Skype dalla sua camera d’ospedale, le telefonate ai suoi vice durante le gare, le visite a sorpresa in ritiro ai calciatori.
IL GUERRIERO Sinisa ha vissuto una carriera intensa, sul campo e fuori: a 22 anni ha vinto la sua prima Champions League (all’epoca Coppa dei Campioni) con la Stella Rossa. Nel 1992 Sinisa si trasferì in Italia, dove ci rimase fino alla fine della sua carriera di calciatore. Milita nella Roma, ma è con Sampdoria guidata da Vujadin Boskov che si afferma anche se si esalta durante la militanza nella Lazio: sull’altra sponda della capitale diventerà uno specialista dei calci di punizione. Ne arriverà a segnare ben 28. Con i biancazzurri vince sei trofei e si adatta al nuovo gioco di Eriksson che lo mette a metà campo come difensore centrale. I punti più alti li vive conquistando la Supercoppa Uefa e – nel 2000 – lo scudetto. Poi il passaggio all’Inter, nelle cui fila concluderà la carriera nel 2006. Da qui inizia la carriera da allenatore. Prima come vice di Roberto Mancini proprio con i nerazzurri, poi da capo allenatore. Al Bologna, nella stagione 2008-09, al Catania in quella successiva e alla Fiorentina fino al 2011.
I punti più alti li vive conquistando la Supercoppa Uefa e – nel 2000 – lo scudetto. Poi il passaggio all’Inter, nelle cui fila concluderà la carriera nel 2006. Da qui inizia la carriera da allenatore.
Nel 2012 diventa il CT della Nazionale serba, posto che lascia nel 2013 per diventare tecnico della Sampdoria. Due anni di alto livello che gli valgono la chiamata del Milan, con cui trascorre la stagione 15-16, mentre l’anno successivo passa al Torino. Dopo una brevissima esperienza allo Sporting – soli nove giorni -, torna al Bologna, con cui ottiene tre salvezze prima dell’esonero nel settembre di quest’anno. Proprio a Bologna tre anni fa annuncerà la scoperta della malattia e due anni dopo, il ritorno del male. L’ultima apparizione in pubblico di Mihajlovic è avvenuta poco meno di due settimane fa, alla presentazione della biografia di Zdenek Zeman. È stato davvero un guerriero, Mihajlovic.
PER VINCERE questo tipo di patologie serve esserlo, con quel piglio forte, sempre a petto in fuori, per affrontare sofferenze terribili. Per questo motivo la vicinanza umana al suo percorso nella malattia lo ha reso anche meno divisivo di quanto era stato nella prima parte della sua vita calcistica. I suoi calciatori gli hanno fatto visita diverse volte alla finestra della sua stanza, all’Ospedale Sant’Orsola di Bologna, la città che assieme a Roma l’ha praticamente adottato, tra il pellegrinaggio in suo onore e la cittadinanza onoraria.
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