Editoriale

Al centro della politica

Il lavoro non gode di buona salute in Europa. La crisi del lavoro fordista che avrebbe dovuto, nelle speranze degli anni ‘90, portare alla fine dal lavoro ripetitivo e alienante […]

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 7 febbraio 2014

Il lavoro non gode di buona salute in Europa. La crisi del lavoro fordista che avrebbe dovuto, nelle speranze degli anni ‘90, portare alla fine dal lavoro ripetitivo e alienante ha trasformato radicalmente il panorama sociale di questo primo decennio del nuovo millennio. Il lavoro fordista si è trasferito in altre parti del mondo e ha lasciato in questa parte dell’Europa un mondo del lavoro di grandi disuguaglianze con un’ampia diffusione del lavoro precario e sottopagato. Le politiche di austerità non favoriscono certamente un rafforzamento delle condizioni dei lavoratori e il contesto strutturale non permette molte illusioni: l’atteso rilancio della produzione e della crescita non sarà accompagnata da una ripresa dell’occupazione.

Per fronteggiare questa prospettiva, la risposta di politica economica di questi ultimi decenni si è concentrata, secondo la visione neoliberista dominante, sulle condizioni del lavoro per renderlo flessibile e poco pagato. Una visione che non considera investimenti, innovazioni, qualità, soddisfazione e protezione del lavoro buono come la base della competitività presenta risultati fallimentari: ridimensionamento dei livelli salariali e deperimento delle condizioni di lavoro hanno messo in mora il ruolo del lavoro come strumento di promozione dell’identità e dell’autovalorizzazione personale con l’effetto di accentuare la marginalizzazione delle fasce di popolazione più deboli e fragili, rappresentate notoriamente dalle donne e dai giovani nella loro ricerca di un primo lavoro.

Le difficoltà che, su questo terreno, si registrano in Italia e in Europa sono ormai un problema strutturale e le risposte che sono state adottate, basate su cattive politiche dell’offerta, hanno innescato un circolo vizioso incentrato sulla precarizzazione e sulla subordinazione dei lavoratori alle scelte dell’accumulazione capitalistica e della sua localizzazione globale. È necessaria una diversa politica del lavoro che, sostenuta a livello europeo, riequilibri il rapporto tra esigenze del lavoro e interessi del capitale. In particolare, diviene urgente in questa fase recessiva, il ricorso a “piani del lavoro” che promuovano l’espansione dell’occupazione in progetti di valorizzazione delle risorse esistenti. In un mondo in cui la disoccupazione si accompagna a bisogni essenziali insoddisfatti, sono essenziali interventi che colmino questo scarto utilizzando le risorse inutilizzate per produrre beni e servizi necessari alla produzione e al benessere collettivo. Ma una politica di stimolo della domanda di lavoro non è sufficiente a risolvere il problema strutturale dell’inadeguata espansione dei posti di lavoro se l’innovazione tecnologica e i vincoli finanziari all’intervento pubblico continueranno a frenare la crescita del monte-ore lavoro. È pertanto indifferibile un intervento sulla durata normale dell’orario di lavoro in modo da creare, attraverso una redistribuzione dei tempi di lavoro, il necessario spazio per un aumento del numero degli occupati.

Rimettere al centro della politica economica il lavoro – non solo come strumento per disporre di un reddito adeguato, ma come condizione di valorizzazione sociale delle persone – è l’obiettivo cruciale se ci si propone di garantire la stabilità sociale e il progresso civile rispetto alla crescita economica.

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