Editoriale

Alfano, il ministro degli «equivoci» «a mia insaputa»

La nostra mozione di sfiducia Dal caso Shalabayeva alla fuga di Marcello Dell'Utri fino alle cariche agli operai di Terni, tutta l'inadeguatezza del Viminale

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 5 novembre 2014

Poche ore ancora e poi verrà discussa la nostra mozione di sfiducia al Ministro dell’Interno Angelino Alfano. Non si tratta di una mossa propagandistica, né di un tentativo di conquistare una vetrina mediatica sottraendola all’onnipresenza televisiva di Matteo Renzi, bensì di un atto che riteniamo politicamente e moralmente doveroso a fronte dell’escalation a cui siamo costretti ad assistere giorno dopo giorno.

Le cariche agli operai delle Acciaierie di Terni, che manifestavano pacificamente a Roma in difesa del loro lavoro e della loro dignità, sono solo l’ultimo esempio, forse neanche il più eclatante, di pessima gestione dell’ordine pubblico venutosi a creare da quando al Viminale siede il leader del Nuovo Centrodestra. È assurdo pensare a come sia bastato il video nel programma satirico «Gazebo» a smontare completamente la ricostruzione fatta in Parlamento da Alfano, mostrando chiaramente come l’ordine di caricare sia stato dato prima ancora che vi fosse un qualsiasi contatto tra manifestanti e forze dell’ordine e come non vi fosse alcun dubbio riguardo la direzione che aveva preso il corteo. E allora o il ministro dell’Interno ha mentito parlando alle Aule, oppure ha dimostrato ancora una volta la sua incompetenza proponendo una versione dei fatti che non corrisponde alle reali dinamiche di quel giorno: in entrambi i casi, le sue colpe sarebbero gravissime. In qualsiasi democrazia liberale, a partire dagli Stati Uniti d’America, chi mente al Parlamento non solo lascia l’incarico di governo immediatamente ma anche la vita politica. Ma Angelino no, Angelino è l’azionista di minoranza di un governo nato dal compromesso tra forze che si erano presentate agli elettori su programmi alternativi. E se cadesse lui, cadrebbe tutto il castello di carte che regge il governo della Rottamazione. Insomma, simul stabunt, simul cadent. Allo stesso tempo, non possiamo non ricordare tutte le altre vicende che hanno dimostrato, in questo anno e mezzo, l’inadeguatezza di Alfano a ricoprire una carica così delicata: è impossibile dimenticare la notte in cui le vite di Alma Shalabayeva e di sua figlia Aula vennero sconvolte, oppure la fuga di Marcello Dell’Utri a pochi giorni dalla sentenza che lo avrebbe condannato definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa. Quante dichiarazioni banali e superficiali dovremo ancora ascoltare, da parte di esponenti del Governo o della maggioranza, a giustificazione degli errori di Alfano? Di quanti «equivoci» dovremo ancora sentir parlare, quante cose succederanno ancora «a sua insaputa»? Come non ricordare che furono proprio i renziani all’epoca della «extraordinary rendition» della Shalabayeva a chiedere a Enrico Letta di disfarsi di un ministro ingombrante?

L’Italia ha bisogno di ben altro, specie in una situazione complessa e difficile come quella che attraversiamo. Servono interventi distensivi e costruttivi, e non un inasprimento così evidente delle tensioni sociali già presenti nel Paese. Ecco perché in questi giorni stiamo presentando una proposta di legge che prevede l’inserimento dell’insegnamento delle teorie e pratiche di nonviolenza nel processo formativo delle forze di polizia italiane. Ed ecco perché Angelino Alfano non può essere il ministro dell’Interno: se lui non ha saggezza sufficiente per capire che le dimissioni sarebbero la scelta più dignitosa, saremo noi a farglielo capire in Parlamento.

* Capogruppo deputati Sel

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