Umanamente, per la persona Julian Assange, che può tornare a muoversi, al suo paese e ai suoi affetti, non possiamo che essere felici.
Ricordiamo, però, che questa liberazione è legata ad un patto secondo il quale il giornalista deve ammettere la propria colpa, la colpa di aver detto la verità su crimini di guerra dell’esercito USA senza essere cittadino e quindi senza la tutela del primo emendamento della costituzione statunitense. Questo patto prevede un verdetto di colpevolezza, 62 mesi di reclusione, già abbondantemente scontati.
Insomma, pur partecipando con il sollievo che Julian Assange deve provare potendo finalmente camminare con le proprie gambe e attraversare frontiere; ricordiamoci il messaggio che resta per i giornalisti di tutto il mondo: se renderete pubbliche o, peggio, documenterete le nefandezze dell’esercito USA, aspettatevi un trattamento simile: anni e anni di carcere (tra auto esilio nell’ambasciata e isolamento in cella da prigioniero) da cui potrete uscire quando la vostra salute sarà compromessa, per buon cuore degli USA, che non stanno né cambiando le leggi né chiedendo scusa.
Ed ovunque siate nel mondo; anzi! se non siete statunitensi peggio, visto che alcuni diritti costituzionali USA, appunto, per voi non varranno.
Ma intanto, bentornato a casa Julian Assange, bentornato a chi ha messo in evidenza non poche storture del diritto.
E manteniamo l’unione delle forze che con la propria pressione hanno permesso questo patto, che senza l’attenzione continua di molte associazioni e molta stampa, avrebbe potuto essere assai peggiore.