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Automi, dallo stupore al trastullo

Automi, dallo stupore al trastulloPierre Jaquet-Droz, la meccanica dell’"Écrivain", presentato a La Chaux-de-Fonds nel 1774

Guido Accascina, "Automi", Iacobelli Editore Gli artefatti meccanici in un’incantevole galoppata attraverso i secoli, dalle antiche civiltà egizia e cinese all’Ottocento borghese. Momenti alti di riflessione sul genere: l’età alessandrina, con le sue descrizioni di macchine raffinatissime; il Settecento dei «philosophes», per i quali il corpo umano è un congegno

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 2 agosto 2020
Un’enciclopedia tedesca del XVIII secolo afferma che gli automi sono «strumenti meccanici, approntati in modo così sottile e artificioso secondo le arti della geometria, da muoversi e andar intorno senza l’aiuto di una forza esterna»; questa definizione spiega come il più grande stupore suscitato da questi oggetti nei secoli passati nascesse dal fatto d’essere semoventi, d’avere cioè un ingranaggio che, celato, desse loro tutta l’apparenza della vita. Nell’infanzia delle macchine, questo genere d’incantamento non doveva essere privo d’un sentore di magia o peggio di fattucchieria, tant’è che il primo costruttore d’una statua animata, Pigmalione, ricorse all’intervento divino per infondere moto...

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