Berlusconiani e chierici
Fa impressione il coro di unanime consenso della stampa, dal Giornale a Repubblica, per la grande riforma, per il frutto sbocciato dalla profonda sintonia tra Renzi e Berlusconi. Evidentemente chi […]
Fa impressione il coro di unanime consenso della stampa, dal Giornale a Repubblica, per la grande riforma, per il frutto sbocciato dalla profonda sintonia tra Renzi e Berlusconi. Evidentemente chi […]
Fa impressione il coro di unanime consenso della stampa, dal Giornale a Repubblica, per la grande riforma, per il frutto sbocciato dalla profonda sintonia tra Renzi e Berlusconi.
Evidentemente chi pensava che il capo di Forza Italia è la stessa persona pronta a cancellare la Costituzione sovietica, chi è andato in piazza del Popolo, con Rodotà e Zagrebelsky, per difenderla dagli attacchi di un ventennio, non aveva capito niente.
Irrefrenabile è scattato l’applausometro per la nuova legge elettorale, infelice fin dal nome (l’hanno battezzata Italicum), un concentrato che, tra premio di maggioranza e soglie di sbarramento, tiene stretta la camicia di forza alla nostra asfittica democrazia (in quale paese se prendi il 35% dei voti hai il 60% dei seggi?). Tutto in nome di un bipolarismo coatto, già sperimentato nel 2008 da Veltroni, che recuperò un po’ di voti al Pd, fece tabula rasa alla sua sinistra e perse, con un distacco, quello sì storico, con Berlusconi.
Al pregiudicato miracolato dal rottamatore non sembra vero di essere tornato al centro della scena. Ne dà testimonianza inviando attestati di stima al leader della parte avversa mentre intanto si prepara a replicare il sorpasso, puntando a vincere le elezioni al primo turno grazie alla lunga filiera delle formazioni di destra.
Del resto una legge elettorale di questa natura è lo specchio fedele del renzismo, di una politica che va per le spicce, che mal sopporta quel che resta del partito e dei partiti, che vorrebbe fare piazza pulita delle residue resistenze e vedersela nella sfida con il vecchio leone. Nella riunione della direzione del Pd, Renzi ha difeso la profonda sintonia col Cavaliere, e rafforzato il concetto: «Esprimo la mia gratitudine a Berlusconi per aver accettato di discutere». Ma se a discutere è il presidente del Pd, se Gianni Cuperlo non si inchina alla grande svolta e polemizza, allora il segretario lo zittisce in malo modo, e l’altro anziché tenere il campo e replicare, stizzito getta la spugna e dà le dimissioni.
Che lo stile del sindaco di Firenze sia un po’ bullesco, che usi, verso chi lo critica, argomenti tipicamente berlusconiani (io rispondo solo ai milioni che mi votano) non c’è chi non lo veda. Ma che l’opposizione interna sia messa male è altrettanto evidente. Invece di dare battaglia sui contenuti, Fassina prima e Cuperlo a ruota, con le dimissioni a catena sono evidentemente lontanissimi dall’intercettare la sfida all’altezza in cui Renzi gliela lancia.
La battaglia contro il nuovismo non si combatte con la vecchia logica correntizia o con le trappole parlamentari, la competizione con una leadership plebiscitaria non si sviluppa in appartate riunioni di gruppi dirigenti. Qui l’asticella è molto più alta, è tra chi sa parlare alla gente attraverso la televisione e i cinguettii e chi si attarda nelle liturgie dell’organizzazione. Tra il berlusconiano e il dalemiano, tra l’uomo nuovo e il chierico, non è difficile prevedere chi è che si condanna alla definitiva irrilevanza.
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