Biancoverdi di Belfast, c’era una volta il Celtic
Club Alla riscoperta del "Grand Old Team"
Club Alla riscoperta del "Grand Old Team"
“Non siamo il Brasile, siamo l’Irlanda del Nord”. Siamo piccoli, ma non molliamo mai. E per la prima volta ci siamo qualificati per i Campionati Europei, per di più vincendo il girone. Gli omaggi alla nazionale che fu di George Best si trovano un po’ ovunque nei quartieri protestanti di Belfast, tra bandiere e striscioni dai toni trionfalistici. La storia cambia se ci si addentra nella parte cattolica Di Belfast, dove si fa il tifo per la Repubblica e dei successi degli “altri” interessa ben poco.
A differenza del rugby, dove c’è un’unica Irlanda “unita”, nel calcio si bada bene a tenere le distanze. Anzi, ormai poche cose come il football a volte possono costituire una potente incubatrice dell’odio settario, che da queste parti non è stato ancora estirpato. Per gli abitanti di Shankill Road la squadra del campionato locale di riferimento è il Linfield, a Falls Road si tiene per il Cliftonville. In realtà la lega nord-irlandese riveste un’importanza relativa. I team sono tutti semi-professionali e gli stadi sono mezzi vuoti. Molto più interesse riscuotono le due compagini di Glasgow, i protestanti dei Rangers e i cattolici dei Celtic. A Falls Road c’è addirittura un negozio di barbiere tutto bianco e verde e con foto e gigantografie di giocatori e allenatori dei Celtic. Tra questi anche Neill Lennon, nord-irlandese di fede cattolica che quando decise di lasciare la nazionale, esprimendo il desiderio di giocare in una selezione che rappresentasse tutta l’isola, ricevette minacce di morte dall’Ulster Volunteer Force.
Sempre su Falls Road, per la precisione al numero 88, fa bella mostra di sé una targa che ricorda che in quello stesso edificio nel 1891 era stato fondato un altro Celtic, che giocava le sue partite nel vicino Celtic Park, ma conosciuto da tutti con il soprannome di Paradise come l’omonimo impianto dei cugini di Glasgow.
L’impianto di West Belfast in epoche di posti in piedi e sicurezza precaria si dice potesse ospitare fino a 50mila spettatori. Di certo fin dal primo vagito degli Hoops nord-irlandesi furono in tanti a seguire i successi di una squadra che nell’allora campionato unico si impose tre volte. Poi la Storia ebbe il sopravvento. In piena guerra d’indipendenza un match di Irish Cup contro il Glentoran fu segnato da gravi incidenti, con tanto di esplosione di colpi di pistola. Il Celtic si ritirò dalle attività fino al 1924, per poi riprendere in una lega che vedeva ai nastri di partenza compagini solo delle sei contee dell’Ulster. La squadra continuò a ben figurare, operando una intelligente politica di apertura anche ai giocatori non cattolici, sulla falsariga del club bianco verde di Glasgow. Non a caso erano ben sei i protestanti che scesero in campo nel derby con il Linfield nel giorno di Santo Stefano del 1948. Il match si disputò al Windsor Park, su terreno nemico, e avrebbe potuto essere ricordato solo come una partita di calcio dai toni epici. Il Linfield infatti, nonostante fosse ridotto in otto uomini a causa di vari infortuni (a quell’epoca non c’erano le sostituzioni), riuscì a pareggiare nei minuti finali. I tifosi dei blu, che già erano stati protagonisti di vari episodi poco edificanti nei 90 minuti, invasero il campo più che per festeggiare l’insperato pareggio per assalire i giocatori dei Celtic. In diversi furono malmenati, ma quello che se la vide veramente brutta fu il “traditore” Jimmy Jones. Giovane centravanti di buone qualità, tanto che sulle sue tracce pare ci fosse già il Manchester United, Jones era uno dei protestanti di bianco e verde vestito. Uscì dalla baruffa con una gamba rotta, ma se i compagni non lo avessero sottratto alla furia dei supporter del Linfield forse ci avrebbe lasciato le penne.
Già in passato le partite tra le due squadre erano state macchiate da incidenti, ma questa volta si era passato ogni limite.
Non c’erano le condizioni per andare avanti. O almeno così pensò il board, che puntò il dito contro la federazione e le forze di polizia, accusate di non essere in grado di garantire la sicurezza di giocatori e tifosi. Dopo un tour negli Stati Uniti al termine della stagione 1948-49 si stabilì di vendere tutti i giocatori e di ritirare la squadra al campionato – il suo posto fu preso dai Crusaders. A dirla tutta pare che non ci fosse una reale intenzione di cessare per sempre le attività, ma prevalesse un intento provocatorio. Alla fine la comunità cattolica, già allora fortemente discriminata e in buona parte indigente, perse uno dei suoi punti di riferimento. I tifosi accettarono, sebbene a malincuore, di dover abbandonare The Paradise, impiegato fino al 1983 per le corse dei levrieri e poi spazzato via per far posto a un piccolo centro commerciale.
Non fu un vero e proprio revival quello del Donegal Celtic, nato nel 1970 a West Belfast per iniziativa di un gruppo di giovani cattolici. In quel decennio scoppiarono i Troubles e ogni manifestazione identitaria divenne a rischio. La club house dei nuovi Celtic fu oggetto di vari attentati. Uno in particolare, un incendio doloso, la ridusse in cenere.
Dopo il processo di pace almeno questi episodi non si registrano più, sebbene il seguito di tifosi continui a essere molto ridotto. La squadra rimane ai margini di un calcio già di per sé lontano dall’élite europea.
Nulla a che vedere con i suoi predecessori, che in 60 anni di attività collezionarono 14 titoli di campioni nazionali e 8 coppe, oltre a svariati altri trofei minori.
Di quel Grand Old Team si sta provando a tenere viva la memoria. Un gruppo di appassionati ha messo in piedi un piccolo museo, un sito web ricco di informazioni e punteggiato West Belfast con placche che ricordano i luoghi di maggior interesse per la storia del club. Nessuno di loro ha mai visto giocare i ragazzi in bianco e verde. Ma da queste parti questo non è che un dettaglio del tutto trascurabile.
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