Calcio e finanza, business infinito
Sport Gli affari dei fondi di investimento che permettono ai club di aggirare la spending review del pallone
Sport Gli affari dei fondi di investimento che permettono ai club di aggirare la spending review del pallone
Un colpo di coda che non produrrà effetti. La Fifa di Joseph Blatter, nuovamente candidato alla presidenza, nei giorni scorsi dichiarava guerra ai fondi di investimento che acquistano e girano a piacimento i cartellini dei calciatori, con una percentuale sui costi delle operazioni. Uno degli strumenti finanziari diffusi negli anni passati – perché il sistema produce dividendi da molto tempo – per aggirare la spending review del pallone, assieme alle sponsorizzazioni e alle società che sopravvivono vendendo i pezzi migliori.
Si chiamano TPO, (Third party ownership) e consentono ai club di non dipendere troppo dai prestiti delle banche, consuetudine per acquisti sul mercato. I proprietari dei fondi di investimento agiscono come scout: cercano giovani di talento che possano assicurare una rendita tecnica ed economica. E li mettono sotto contratto. Competenza e contatti. E il gioco è fatto. Soprattutto se il calciatore fa il salto di qualità. Tutti contenti, anche le società: l’attività dei fondi fa scendere il costo dell’investimento per un atleta. Il tutto in favore di minori oneri gli ammortamenti e, di conseguenza, liberando un budget maggiore per compiere altri acquisti.
Con un effetto a cascata: più acquisti uguale campionato più competitivo uguale accordi sui diritti televisivi a svariati zeri. Un meccanismo virtuoso, neppure proibito, il placebo al Financial Fair Play imposto dall’Uefa, che infatti da anni prova a scardinare l’attività dei fondi. Con la Fifa che ha fatto orecchie da mercante sino a qualche settimana fa. Nonostante il flusso di affari di questi fondi sia sotto gli occhi di tutti.
Soprattutto in Brasile, con partecipazioni in calciatori che hanno raggiunto il 90%, nei Paesi dell’Europa Orientale, dove i fondi hanno in mano il 40% del mercato dei calciatori. Ma il fenomeno si è allargato anche in Spagna (Atletico Madrid), Olanda e Portogallo. E nel Paese iberico si è verificato l’ultimo caso che ha praticamente obbligato la Fifa a intervenire. E che porterà il sistema a produrre gli anticorpi, scovando nuove soluzioni per fare affari, anche perché la stampa internazionale ne ha scritto, parlato sempre di più.
Lo Sporting Lisbona, attraverso il suo fondo Sporting Portugal Fund (ne ha uno simile anche il Benfica) la scorsa estate entrava in conflitto con il Doyen Sports Investments, il più potente cartello del calcio mondiale, per la cessione dell’argentino Marcos Rojo. Il fondo deteneva i diritti del 75% del difensore, il club portoghese voleva venderlo a 20 milioni di euro e rifiutava le proposte di vari club, anche del Manchester United vicino a Jorge Mendes, pezzo importante di Doyen e procuratore di Mourinho, Cristiano Ronaldo (30 milioni il suo fatturato estivo in commissioni).
Il fondo esercitava il suo potere persuasivo sul calciatore, Rojo non si allenava.
Un ammutinamento, con scontri velenosi tra club lusitano e fondo d’investimento, che riceveva un indennizzo di un milione di euro per ogni anno giocato dall’argentino allo Sporting. Un calciatore in affitto. Lo Sporting Lisbona si è rivolta alla Consob portoghese per risoluzione del rapporto con Doyen, che si è appellata al Tas di Losanna. Mentre il primo colpo battuto da un fondo di investimento è stato otto anni fa. Carlos Tevez e Javier Mascherano al West Ham grazie a Kia Joorabchian, uomo d’affari, amicone di Adriano Galliani, attraverso il Media Sports Investments.
Violate le norme inglesi, il manager accusato di riciclaggio staccava un assegno da tre milioni di euro al West Ham per non finire davanti al Tribunale d’Arbitrato per lo Sport (Tas). Mentre l’ultimo caso si è avuto con il discusso passaggio del brasiliano Neymar dal Santos al Barcellona per 57 milioni di euro, un anno fa.
I soldi versati dall’ormai ex presidente blaugrana Sandro Rosell sono stati così divisi: il 55% al Santos, il restante 45% ai due fondi d’investimento che erano coproprietari del cartellino del giocatore. In particolare, il 40% andò al fondo d’investimento Dis, che in Brasile controlla molti assi del calcio, e il 5% alla società Tercera Estrela Investimentos. Con la stampa iberica sicura: Rosell avrebbe pagato il giocatore quasi il doppio.
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