Campo stretto e boomerang sul referendum
Post voto Se il crollo al 20 per cento di votanti referendari fa spavento, non dispone all’ottimismo il calo, quasi il 6 per cento, dell’affluenza per le comunali, che dal 60,12 per cento delle precedenti amministrative sono finite al 54,72 di questo 12 giugno 2022.
Post voto Se il crollo al 20 per cento di votanti referendari fa spavento, non dispone all’ottimismo il calo, quasi il 6 per cento, dell’affluenza per le comunali, che dal 60,12 per cento delle precedenti amministrative sono finite al 54,72 di questo 12 giugno 2022.
Salvini nel centrodestra e Conte nel centrosinistra escono dalle urne piuttosto malconci. Più ammaccato il leader leghista (per la doppia batosta: referendum e comunali), meno Conte perché i 5Stelle alle amministrative hanno sempre sofferto. Le percentuali pentastellate sono molto basse, e prestano il fianco a chi, come Renzi, Calenda e parte del Pd, spinge per prenderne il posto nell’esperimento del “campo largo” a trazione centrista (contro il salario minimo, contro il reddito di cittadinanza… ).
Ma se nel caso delle amministrative, si tratta tuttavia di un test parziale, il flop referendario, sì atteso ma non per questo meno scioccante, somiglia invece a una sorta di de profundis politico di questo strumento di democrazia diretta. Chi oserà domani rischiare di riproporlo?
Lasciamo da parte gli incomprensibili tecnicismi dei quesiti, che in larga parte vi hanno contribuito, ma il colpo micidiale lo ha inferto soprattutto la strumentalizzazione del prezioso istituto elettorale, usato dal centrodestra di governo come il cavallo di Troia contro un potere dello Stato, quello giudiziario.
Passa perfino in secondo piano che sia in primo luogo il declinante Salvini (con Berlusconi e Renzi compagni di flop) a pagare pegno per averne fatto un uso dissennato, rispetto al danno arrecato a tutti noi cittadini che nella storia politica della Repubblica ne abbiamo generalmente fatto buon uso.
Fin dagli anni ’70 quando, sulla spinta di battaglie culturali e sociali, sull’onda di un rigoglioso associazionismo e di un esuberante coinvolgimento, i referendum hanno rappresentato la chiave di volta di nuove stagioni di progresso. Una formidabile spinta democratica verso la modernizzazione dei costumi (il divorzio), l’avanzamento dei diritti (l’aborto), la forza visionaria (i beni comuni).
Di fronte a una classe dirigente arretrata, non solo nella destra conservatrice, ma anche a sinistra, (ai tempi del divorzio era il Pci a frenare, con l’acqua pubblica era il Pd), il cuore e la testa del paese davano lezioni memorabili al Palazzo (59,3 per cento di No sull’abolizione del divorzio, 96 per cento di Si sull’acqua pubblica). Purtroppo poi proprio il Parlamento si distingueva per neutralizzare o contraddire le scelte dei cittadini.
Certo, ancora fino al 2011 l’affluenza alle urne era ben oltre il 50 per cento richiesto dal quorum, e di questa profonda e progressiva disaffezione verso le elezioni bisognerebbe tener conto, discutendo se e come modificare la soglia di validità. Ma non c’è dubbio che l’adesione popolare nascesse dal basso, dai movimenti (femministi, ecologisti…) che sopravanzavano i partiti, e non viceversa, come domenica scorsa, quando il pacchetto giudiziario è calato su 50 milioni di elettori dalle stanze di via Bellerio, promosso dalle regioni di centrodestra con buona pace della raccolta di firme. Sensatamente, ieri il presidente delle Camere penali si chiedeva chi avesse deciso i quesiti e con chi fossero stati discussi. Aprendo così una polemica nel mondo forense e in quello radicale.
Oltretutto, nonostante sia stato solo un elettore su cinque, a prendere in mano la scheda dei 5 referendum (non contro le cause dell’ingiustizia italiana ma contro i magistrati), i No infilati nell’urna hanno raggiunto percentuali assai significative, di netta opposizione alla propaganda della destra salvinian-berlusconiana, in qualche caso perfino superata dai No più numerosi dei Si, come nel profondo Nord di a Bolzano o nell’estremo Sud di Palermo.
Se il crollo al 20 per cento di votanti referendari fa spavento, non dispone all’ottimismo il calo, quasi il 6 per cento, dell’affluenza per le comunali, che dal 60,12 per cento delle precedenti amministrative sono finite al 54,72 di questo 12 giugno 2022.
A botte di 6 punti percentuali a elezione (ma si può fare sempre peggio), certi festeggiamenti appaiono surreali.
Come nel caso di quei sindaci vincitori che ringraziano il popolo per averli scelti, pur se riconfermati con un pesante restringimento del consenso. Ne offre un eloquente esempio il primo cittadino di Genova, che ieri brindava al risultato pur essendo sceso dal 49 per cento di 5 anni fa (già tra i record negativi di affluenza), al 44 per cento di oggi.
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