Caruso verbovisivo, un umanista moderno
Luciano Caruso, "Epigrafe monca", collage, tempera, colori vegetali, inchiostro di china, scrittura su carta. Courtesy Archivio Luciano Caruso
Alias Domenica

Caruso verbovisivo, un umanista moderno

A Firenze, Museo Novecento, "Luciano Caruso. Alchimia degli estremi" La memoria dell’Informale accompagna il gesto di Caruso, che da traccia si concretizza in scrittura: questo gesto, però, travalica l’accezione letteraria di poesia, per farsi azione militante di «amanuense della biblioteca di Babele»

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 23 giugno 2019
E’ il 12 novembre 1976 quando Luciano Caruso (Foglianise 1944-Firenze 2002) scrive all’amico Stelio Maria Martini: «Come avrai capito soffro di una nostalgia cane. Ma era necessario venire via. Mi mancano solo le pietre». Da poco tempo aveva lasciato Napoli, dove era stato al centro della più vivace avanguardia «clandestina» – fra «Documento Sud» prima e «Linea Sud» poi –, per trasferirsi a Firenze, che in un primo tempo gli appare, scrive in un’altra lettera, «più piccola e provinciale e angusta se possibile di Napoli» (18 novembre 1976). Il distacco non aveva tuttavia sfilacciato il dialogo con gli amici di...

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