Chi ha bisogno del fantasma del terrorismo
Terrorista a chi? A Fabio Zita, dirigente dell’assessorato all’ambiente della regione Toscana (in più, «mascalzone, bastardo e stronzo»). A definirlo terrorista in una intercettazione – più tutto il resto, compresa […]
Terrorista a chi? A Fabio Zita, dirigente dell’assessorato all’ambiente della regione Toscana (in più, «mascalzone, bastardo e stronzo»). A definirlo terrorista in una intercettazione – più tutto il resto, compresa […]
Terrorista a chi? A Fabio Zita, dirigente dell’assessorato all’ambiente della regione Toscana (in più, «mascalzone, bastardo e stronzo»). A definirlo terrorista in una intercettazione – più tutto il resto, compresa la rimozione dal suo incarico – è stata Maria Rita Lorenzetti, presidente di Italfer. E’ il trattamento che il recente dibattito massmediatico riserva sempre più spesso agli attivisti del movimento NoTav (della Val di Susa). E infatti Fabio Zita è, o è stato, un attivista NoTav (di Firenze)
Non per le sue convinzioni sociali o politiche – non sappiamo niente di come la pensi in proposito – ma semplicemente perché, nell’esercizio delle sue funzioni e dei suoi obblighi, cercava di fare rispettare la legge a una congrega di politicanti del Pd che stava usando, per farsi i propri affari a spese dell’ambiente e della salute di migliaia e migliaia di persone, un progetto non meno demenziale e criminale del Tav della Valle di Susa. Si tratta del sottopasso Tav di Firenze: un budello sotterraneo che minaccia la stabilità dei principali monumenti di una delle più belle città del mondo, con un tracciato che prevede una stazione interrata mostruosa come quella di Bologna e due curve a gomito che nemmeno un treno a pedali dovrebbe affrontare. Ma farsi gli affari propri («il Tav serve solo a chi lo fa») è proprio quello in cui sono impegnati anche i “grandi sponsor” del Tav in Valle di Susa (che sono più o meno gli stessi); anche se per ora le inchieste giudiziarie della Procura di Torino li hanno solo sfiorati, mentre stanno andando a fondo – e che affondo! – sugli oppositori del progetto, sulle loro famiglie, sulla loro mobilitazione, sulla loro cultura, sulla loro solidarietà. Chi tocca i fili muore! E chi manifesta la sua opposizione al Tav Torino-Lione è un terrorista. Così l’accusa di farsela con le Brigate Rosse ha finito per investire (per voce di Alfano e di Gasparri) anche Stefano Rodotà; per aver evidenziato come ovvio (Rodotà ha detto «comprensibile») che un clima del genere, dove tutti gli oppositori diventano terroristi, spalanchi un varco anche a chi la lotta armata l’ha praticata o la vuol praticare davvero.
A venir richiamato in servizio è così il fantasma del terrorismo degli anni ’70, senza mai ricordare che quella fase tragica della storia italiana era stata preceduta, preparata, promossa e sollecitata da almeno quattro anni di strategia della tensione, da almeno dieci stragi di Stato (e altrettante tentate e non riuscite) e da una ininterrotta campagna di criminalizzazione delle lotte che avevano preceduto la comparsa delle formazioni armate (che non poco avrebbe poi contribuito a mettere alle corde e stroncare i movimenti di quegli anni). Insomma, dato che in vent’anni non si è riusciti a fermare il movimento NoTav, non resta che criminalizzarlo tacciandolo di “terrorismo”. E’ un buon metodo per promuoverlo, il terrorismo; come ci insegnano, appunto, gli anni ’70.
A ben guardare, “violenze” e sabotaggi imputati a qualche attivista NoTav sono una puntura di spillo rispetto all’occupazione manu militari di un territorio (con 400 – ma sono stati anche molti di più – uomini in armi, e connessi blindati: una vera e propria guerra); alla distruzione con le ruspe di un sito archeologico di inestimabile valore (a cui il ministero dei Beni culturali aveva destinato ben il 10 per cento del suo magrissimo bilancio!); alla devastazione e all’avvelenamento di campi e vigneti (per ora) e di un’intera vallata, (se il progetto andasse in porto); alle tonnellate di lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo e caricati con gas Cs proibito dalla convenzione di Ginevra sulle armi da guerra; ma poiché siamo “in pace”, allora si può. Vero Caselli? Sempre posto, come ha fatto già rilevare Livio Pepino, che quegli atti siano effettivamente riconducibili a qualche attivista del movimento.
Non dimentichiamo che la Valle di Susa è infestata da una n’drangheta insediata da decenni a Bardonecchia; che a bruciare i presidi del movimento, ben prima di qualche mezzo delle imprese di costruzione, è stata la mafia (agli ordini di chi?); e che l’incendio dei mezzi è un consolidato strumento delle imprese mafiose per eliminare i concorrenti, mafiosi e non. Ma vista l’unilateralità delle misure adottate nel corso del tempo dalla Procura di Torino, è giunto il momento di chiedersi se la direzione di Caselli sia la più indicata per riportare la legalità in un conflitto che non ha ancora visto le forze dell’ordine indagate per comportamenti palesemente e spesso ostentatamente illegali, che ricordano l’impunità di cui hanno a lungo goduto e godono ancora molti dei macellai del G8 di Genova.
Ma a parte il malaffare – a Firenze non più che in Val di Susa (anche se l’inchiesta Minotauro, che riguarda la Valle, per ora langue) – quello che la campagna massmediatica che taccia di terrorismo tutto il movimento NoTav cerca di coprire sono le straordinarie conquiste di un movimento che sta in piedi, da vent’anni e più, sul terreno della democrazia, della solidarietà, della cultura, dell’autonomia personale e collettiva.
Ma a sostegno di quel treno insensato ha recentemente aggiunto la sua voce Massimo Cacciari: «La democrazia non è un’assemblea permanente» ha sentenziato su Repubblica (10.9.2013). E’ vero. La democrazia, quella vera, è molto di più: richiede radicamento nel territorio – altrimenti non si sa nemmeno di che cosa si parla e su che cosa si delibera; mobilitazione e ascolto sia dei saperi sociali diffusi che delle competenze tecniche specialistiche – e di queste il movimento NoTav ne ha coinvolte ben 360; cioè quasi tutti gli esperti della materia che ci sono in Italia, che il cosiddetto “governo tecnico” di Monti non ha preso né avrebbe mai saputo prendere in considerazione. Richiede confronto e consapevolezza della posta in gioco che gli attivisti del movimento hanno promosso e coltivato per vent’anni e più, mentre i fautori della Grande Opera si sono adoperati in tutti i modi per soffocare. A partire dal finto organo di “mediazione”, l’Osservatorio diretto dal Mario Virano, l’uomo incaricato di portare comunque a termine il progetto e che per questo ha escluso a priori tutti quelli che non erano d’accordo con lui. Il tutto, contando su un sostegno da parte dei media che è tanto unanime (qui sembra davvero di essere in Unione Sovietica) quanto pregiudiziale e privo di argomentazioni.
La democrazia richiede infine solidarietà e soprattutto volontà e capacità di costruire qualcosa di nuovo: e da queste lotte è nata una nuova identità condivisa di tutta la Valle; e anche, con l’associazione Etinomìa che raggruppa oltre 300 imprese, un approccio all’economia locale ecologico e solidale. Quest’associazione ha convocato gli “Stati Generali”. Se i media dedicassero a questo incontro anche solo un decimo dello spazio che riservano al presunto ritorno del terrorismo, porterebbero un contributo alla chiarezza e non, come fanno, un incoraggiamento al paventato ritorno del terrorismo.
Sono tutte cose da ricordare e mettere al centro dell’attenzione in queste settimane, in vista della mobilitazione a difesa della democrazia e della Costituzione del 12 ottobre. Se, come dice Cacciari, il Tav Torino-Lione «è un’opera sbagliata», non si capisce perché «ormai dobbiamo realizzarla». La democrazia, tanto quella rappresentativa, così lontana oggi dal sentire della popolazione, quanto quella partecipata che si pratica in Valle, è sì (anche) diritto di sbagliare. Ma sopravvive e mantiene la sua legittimità solo se, di fronte a evidenze tanto grandi degli errori compiuti, ha la capacità di correggersi.
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