Editoriale

Come lottare contro il terrorismo

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Allerta in Occidente Bombardare Siria e Iraq per proteggere le proprie sedi o il proprio personale interesse e non la popolazione civile è un'infamia. Dopo le guerre di Bush, dovremmo riconoscere che ogni intervento occidentale alimenta la forza e l'agenda del terrorismo islamico. L'unica soluzione è una forza di interposizione, come fatto in Libano. E aiutare davvero i profughi nel Mediterraneo

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 31 agosto 2014

L’Isil (Stato islamico in Iraq e nel Levante) è innanzitutto un pericolo per l’Iraq e la Siria, soprattutto per la popolazione che non si assoggetta alle sue regole e per coloro che lo combattono (peshmerga). Sostenere invece che l’Isil è un pericolo per l’occidente (Cameron alza l’allerta) e mandare i propri caccia a bombardare le presunte basi dei terroristi in Siria e Iraq per proteggere le proprie sedi e il proprio personale come ha detto Obama è un’infamia.
Non porsi il problema della popolazione minacciata, di tutta la popolazione irachena e siriana, adesso e non in futuro, è semplicemente disumano; se invece si tratta di una motivazione ipocrita per non ammettere il vero motivo per cui si lanciano bombe (per proteggere i propri interessi) è altrettanto ignobile. In ogni caso la decisione di andare a bombardare non risolverà il problema né a casa nostra né a casa loro.

Il terrorismo, come abbiamo già visto nelle guerre, quelle combattute sul campo, in Afghanistan e in Iraq, ha tratto alimento ideologico dall’intervento occidentale che ne ha favorito l’allargamento a paesi fino ad allora non contagiati (Iraq e Siria). Continuare su questa strada, pur non inviando truppe sul terreno per evitare un bagno di sangue, non eviterà il contagio che può passare attraverso i numerosi jihadisti occidentali che combattono con i più trucidi sostenitori dello stato islamico.

Al Qaeda è sempre stata più interessata all’uso degli ostaggi per la propaganda mediatica che ai soldi ottenibili con un riscatto, lo ha già dimostrato in passato. Penso che purtroppo la morte di Baldoni sia rientrata in questo tremendo gioco.
A maggior ragione oggi il Califfato di al Baghdadi, che gode di altre fonti di finanziamento che gli hanno già permesso di costituire un fondo considerevole (si parla di 875 milioni di dollari), spara cifre per il riscatto insostenibili ben sapendo che gli americani – almeno ufficialmente – non trattano, e così sfida il governo di Obama: una falsa proposta per lanciare la sua propaganda terrificante. Uno sgozzamento tuttavia non provoca, come dovrebbe, orrore in tutti gli esseri umani, anzi c’è chi plaude e si arruola. E anche fra coloro che generalmente si appellano alla giustizia, in questo caso si cerca di «giustificare» l’orrore facendo ricorso alla causa del male.

Inoltre, non per tutti la vita umana ha lo stesso valore, né per se stessi né per gli altri.

Le conseguenze di logiche contrapposte per cui le vite hanno un diverso valore a seconda dell’appartenenza (geografica, politica, ideologica, religiosa) rende difficile la soluzione, il dialogo, la tregua. Soprattutto se le parti in campo non hanno nessuna intenzione di trovare una soluzione negoziata.

In questo quadro, in cui o si vince o si muore, perde qualsiasi forza la comunità internazionale, la voce di chi si oppone alla guerra e alla violenza, di chi potrebbe avanzare proposte alternative. Perché nessuno vuole accettare l’idea di schierare delle forze d’interposizione che non partecipino all’escalation militare, ma che isolino le parti in conflitto, come è stato fatto in Libano.

Ma innanzitutto ci sono bambini, donne, uomini da salvare dal massacro, siano essi yazidi, cristiani o musulmani, con un corridoio umanitario, immediato.

Non c’è tempo da perdere. E invece si pensa a come rafforzare Frontex o sospendere Mare nostrum per non intervenire più in salvataggi nelle acque internazionali! Se non faremo questo, allora sì, forse, diventeremo noi i bersagli del terrorismo, allora sì dovremo alzare l’allarme in tutto l’occidente. Ma non servirà a molto.

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