Quando frequentavo il liceo, mi iniziai alla politica e ai giornali. Fu facile scegliere da che parte stare- anzi, credo che non ho manco mai pensato di operare una scelta - fra destra e sinistra, fu difficile scegliere di che sinistra essere: comunista, socialista, socialista democratico, demoproletario, operaista, intellettuale, socialista liberale, libertario, ambientalista, antagonista, radicale, moderato. Quante cose si poteva essere, quante cose diverse, quante scelte andavano operate? I giornali, pian piano, cominciarono a darmi una mano.
Non ero mai stato un lettore forte, da piccolo; anzi, tutt’altro.
Il mio ribellismo junghiano , mi pare lo definì una volta una ragazza bella a piazza bellini a Napoli, mi portava a non fare tutto quello che facevano mio padre e mio fratello, quindi, se loro leggevano e parlavano in italiano correttamente e correntemente, io avrei continuato a parlare solo il napoletano appreso dai nonni e non mi sarei mai messo a perder tempo con un libro in mano.
Questa allora scarsa inclinazione alla lettura rese, dunque, per me fondamentale dare importanza alle figure, ai disegni, ai segni grafici, nella primordiale scelta dei giornali.
La Repubblica era il giornale che più girava fra le mani degli adulti di riferimento, mio padre, il mio prof d’Italiano, mio cugino e i suoi amici e lo stesso mio fratello. Teneva una bella carta, le pagine a colori (o era solo la prima?), le inserzioni in azzurrino e oro.
In edicola adocchiai Liberazione e il Manifesto , due tabloid più piccini, portavano prime pagine originali, soprattutto il Manifesto, che talvolta pubblicava addirittura un disegno invece che una foto, in prima - dovrei tenere ancora la mia prima copia del Manifesto, dovrebbe essere del ‘99 o del 2000, qualcosa sulle elezioni spagnole, credo in occasione dell’elezione di Aznar.
L’Unità, invece, era un poco triste, tutta bianca e nera, tutta titoli, formato vetusto, stile Stampa (che mio padre leggeva spesso) e Corriere, ma più sottile, senza forza.
Poco dopo, sarebbe scomparsa per la prima volta - eppure sapevo che, prima ancora di essere il quotidiano dei Diesse, era stato l’organo ufficiale del PCI e un glorioso giornale che era entrato nelle case di tutti -e a testimonianza di ciò, l’interminabile collezione di vhs ancora in bella mostra nello studio di papà.
Le vignette pian piano cominciarono ad attirare sempre più la mia attenzione e con esse i corsivi. Vauro e jena sul Manifesto per me, allora, non conoscevano pari.
Pian piano, la mia passione cominciò a conoscere sempre più attivismo e definzione: cominciai a scrivere su Voices, il giornalino d’istituto, mi iscrissi a Rifondazione Comunista, fondai il giornalino degli studenti, passai a leggere organicamente Liberazione, mi innamorai degli articoli di Rina Gagliardi in particolare, tralasciai un po’ gli altri quotidiani, facendo eccezione per la rinata Unità di Colombo e Padellaro, quella che portava la striscia rossa grande sotto la testata e le vignette di Bobo - per me Staino era a mala pena la firma, Bobo era autore, personaggio e narratore - divennero una chiave di racconto del mondo.
Sono passati un sacco di anni, pian piano son cresciuto e cambiato e definito e ricambiato; è scomparsa quello Unità e poi anche quella diretta da Concita De Gregorio; è scomparsa Liberazione e quella Rifondazione lì che ho tanto amato; Pubblico è stata una stranissima e brevissima chimera, Sinistra Ecologia Libertà è stato il partito che ho votato meglio, di cuore e di testa, poi è scomparsa anche quella e nelle mani mi è rimasta Sinistra Italiana e l’ Alleanza Verdi Sinistra e quella cazzo di area che abbiamo preso di dirci abbiamo ragione noi, ma siam troppo piccoli per farvelo capire e solo Il Manifesto è rimasto lì a dirmi che esiste nell’aria qualcosa che mi dice dov’è che stanno gli amici miei.
Ho odiato tanto il Partito Democratico e sono anni che continuo a guardarlo da fuori, implorando che mi dia una speranza.
Sono diventato sempre meno settario e sempre più contraddittorio. Un poco più libero. Più laico.
Ecco, tutte queste cose mi vengono da pensare adesso che Bobo non lo troverò più da nessuna parte.
No, no, non volevo approfittare della morte di Staino per fare la messa cantata del nostro funerale.
Volevo solo dire che quando se ne va uno di noi - intellettuale, operaista, di fugace simpatia renziana o meno che sia stato- mi pare che ci ricordiamo quanto grande è essere noi.
Buon viaggio, Bobo, buon viaggio Staino.