Visioni

«Container 158», la vita tra i deportati rom di Salone

Il documentario Lo zoom nomade di Stefano Liberti ed Enrico Parenti smonta tutti i pregiudizi sugli zingari. E svela il razzismo italico

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 13 novembre 2013
Si può immaginare come un involontario complemento al Sacro Gra di Gianfranco Rosi, Container 158 di Stefano Liberti ed Enrico Parenti. L’affinità è notevole, non tanto per aver lavorato entrambi sul genere documentario e non solo per l’ambientazione, bensì per aver scelto come protagonisti degli attori involontari e persino per alcune trovate: quanto si somigliano quei rom che ballano davanti a uno stereo che pompa musica tecno agli immigrati sudamericani immortalati da Rosi in una danza collettiva su un terrazzo. Ma soprattutto per averci mostrato, da un’analoga prospettiva «anulare», la deriva socio-antropologica italiana. In Container 158 siamo oltre il Grande...

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

Per continuare a leggere, crea un account gratuito
Hai già un account? Accedi