Editoriale

Contro riforma

Che la parola «riforma» ormai non significhi più niente, o comunque niente di buono, lo prova la storia dell’articolo 81 della Costituzione. «Riformato» in appena sei mesi tra la fine […]

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 24 settembre 2014

Che la parola «riforma» ormai non significhi più niente, o comunque niente di buono, lo prova la storia dell’articolo 81 della Costituzione. «Riformato» in appena sei mesi tra la fine dell’ultimo governo Berlusconi e la breve stagione di Monti. All’apogeo delle larghe intese, il vincolo del pareggio di bilancio fu inserito nella Carta con 14 voti contrari su 650, accogliendo proposte convergenti di Berlusconi e Bersani. Neanche i più ottusi rigoristi europei chiedevano di mettere il vincolo direttamente in Costituzione; l’Italia minacciata di troika volle strafare.

Così oggi Renzi, quando si atteggia ad avversario dell’austerità, dimentica di dire che il nostro paese ha l’austerità scolpita nella legge fondamentale. E che il governo la rivendica, altrimenti avrebbe aggiunto l’articolo 81 alla lista dei quaranta e più articoli della Carta che sta imponendo alle camere di riscrivere. Adesso la sinistra che non era allora in parlamento, assieme a un po’ di deputati del Pd rinsaviti, a diverse associazioni, alla Fiom e ai costituzionalisti che non credono troppo nella proposta di referendum abrogativo già in campo (perché limitata negli effetti e a rischio bocciatura della Consulta) tentano la strada della legge costituzionale di iniziativa parlamentare. Per bonificare l’articolo 81, riportandolo dal precetto ragioneristico di quasi 20 righe che è diventato all’originario e semplice principio di copertura delle spese. Se quella era una «riforma», dobbiamo dunque affidarci a una «controriforma» che in realtà ha il segno progressista del riformismo vero e recupera i «diritti fondamentali delle persone» al centro della finanza pubblica. In questo modo una legge di bilancio che tagliasse i servizi pubblici essenziali e investisse in armi da guerra, per esempio, sarebbe censurabile dalla Consulta con più certezza di quanto, a parere di diversi costituzionalisti, non lo sia già oggi. Annichilita dalle sconfitte, la sinistra trova ancora una volta nella Costituzione «formale» e nella battaglia per la sua piena applicazione l’ultimo terreno di resistenza. Magari il primo dal quale tentare una mossa.

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