Dall’Egitto prime verità, vecchi silenzi
Le rivelazioni di ieri della Reuters chiamano a responsabilità il governo italiano che fin qui ha dichiarato di non volere «niente di meno della verità» e di rifiutare «una verità […]
Le rivelazioni di ieri della Reuters chiamano a responsabilità il governo italiano che fin qui ha dichiarato di non volere «niente di meno della verità» e di rifiutare «una verità […]
Le rivelazioni di ieri della Reuters chiamano a responsabilità il governo italiano che fin qui ha dichiarato di non volere «niente di meno della verità» e di rifiutare «una verità di comodo» sul ricercatore italiano Giulio Regeni scomparso il 25 gennaio, ritrovato morto il 3 febbraio scorso dopo essere stato barbaramente torturato. Bene.
Perché il racconto della Reuters – certo smentito, in modo poco convincente, dalle autorità egiziane di polizia responsabili di tanti depistaggi – dice che Giulio Regeni era stato fermato dalla polizia e poi trasferito in un compound dei servizi di sicurezza il giorno in cui scomparve, cioè il 25 gennaio.
Lo hanno riferito fonti di intelligence e di polizia smentendo la versione ufficiale fornita dalle autorità egiziane secondo cui i servizi di sicurezza non avevano arrestato Regeni.
Tre funzionari dei servizi segreti egiziani e tre fonti di polizia, separatamente hanno confermato che la polizia aveva preso in custodia lo studente vivo ma già ferito. Un funzionario ha riferito alla Reuters che Regeni aveva sette costole rotte e altre crudeltà consumate sul suo corpo. E che è stato ucciso da un colpo alla testa.
È il racconto giornalistico più credibile che sia stato fatto finora dal Cairo: emergono dunque prime verità. Una reazione immediata, un allarme sarebbero doverosi da parte del governo italiano che ha richiamato l’ambasciatore Maurizio Massari per consultazioni. È rientrato da più di dieci giorni. E da quel giorno in poi è solo silenzio.
Eppure è forte la richiesta in primo luogo della famiglia Regeni e di quanti hanno a cuore la verità. Se non si passa subito ad una dichiarazione da parte della Farnesina dell’«Egitto Paese non sicuro», il richiamo del nostro rappresentante rischia di essere solo un espediente. Buono per nascondere le troppe credenziali rilasciate dal presidente del Consiglio Matteo Renzi al grande «leader emergente» Al Sisi. Responsabile di un regime che ha fatto delle sparizioni, della tortura e delle uccisioni un sistema di governo.
Eppure il silenzio regna assordante. Anche di fronte alla più arrogante delle affermazioni di Al Sisi, rivolta direttamente ad Hollande e ai tanti leader europei in viaggio d’affari al Cairo: «Qui non valgono i diritti umani dell’Unione europea».
Che aspetta il governo italiano?
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