Editoriale

Caso chiuso

Decadenza Siamo al fischio finale per la decadenza. Sulle vicende personali Berlusconi ha frantumato il suo partito, ora vuole giocarsi la legge di stabilità e il governo. Grida alla persecuzione e […]

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 26 novembre 2013

Siamo al fischio finale per la decadenza. Sulle vicende personali Berlusconi ha frantumato il suo partito, ora vuole giocarsi la legge di stabilità e il governo. Grida alla persecuzione e al colpo di stato, chiama a soccorso la piazza. Pretende la grazia. Annuncia documenti decisivi.

È suo diritto perseguire ogni via tecnicamente disponibile per affermare le sue ragioni. Ma è giusto che intanto Napolitano ribadisca la mancanza – oggi più di ieri – delle condizioni per un provvedimento di clemenza. E che Grasso confermi il voto. Casini tenta un’uscita in extremis annunciando una pregiudiziale per una «presa d’atto». A quanto è dato capire, un rinvio a una futura pronuncia della Cassazione.

Ma di cosa si deve prendere atto? Lo stesso Casini sembra riaffermare il rispetto delle leggi e delle sentenze. E per questo c’è una sola via: votare, qui e ora. Come si voterà? La Giunta per il regolamento ha indicato lo scrutinio palese: la votazione non riguarda in senso proprio persone, ma la legittimità della composizione dell’assemblea. Ma la partita non è chiusa. Il parere non è vincolante, e già prima della scissione 22 senatori Pdl hanno scritto a Grasso chiedendo di disattenderlo. Virtuosamente, hanno considerato che è cruciale la libertà di coscienza dei singoli senatori. Bello. Peccato che sia puro teatro. Proprio i comportamenti di Berlusconi dimostrano che la libertà di coscienza non c’entra.

La Giunta ha ripreso un parere del 6 maggio 1993, di cui ho già dato conto su queste pagine. Potremo aggiungere che l’art. 2 del regolamento della Giunta elezioni della camera, al comma 2, dispone che quelle in materia di verifica dei poteri, ineleggibilità, incompatibilità e decadenza non costituiscono votazioni riguardanti persone» ai fini dello scrutinio segreto. E il 6 giugno 2007 il presidente Bertinotti concluse in Giunta per il regolamento nel senso che il principio doveva applicarsi anche alle votazioni in aula sulle proposte della Giunta per le elezioni. Sulla decadenza di Previti il voto sarebbe stato palese. Le sue dimissioni arrivarono prima. Nel diritto parlamentare il principio oggi affermato dalla Giunta regolamento del Senato è ben radicato.

Ma come si può riaprire la questione voto palese/voto segreto? In aula, in due modi diversi. Il primo. Il presidente Grasso indice di propria iniziativa lo scrutinio segreto, considerando il voto come «comunque riguardante persone». Disattende così il parere della Giunta, e applica l’art. 113, comma 3, del regolamento. Il secondo. Chiusa la discussione, e prima che il presidente abbia invitato il senato a votare, lo scrutinio segreto viene chiesto ex art. 113, comma 4, che appunto lo consente – a richiesta – per le deliberazioni che attengono ai rapporti civili ed etico-sociali di cui agli articoli da 13 a 32, comma 2, Cost. (esclusi gli articoli 23 e 28). Il presidente, verificato il supporto di almeno 20 senatori, indice lo scrutinio segreto. Il parere della Giunta regolamento esclude che alla decadenza di Berlusconi si applichi l’art. 113 comma 3, e niente induce a pensare che Grasso voglia disattenderlo. Ma nulla dice sull’art. 113, comma 4. Se viene richiesto in aula lo scrutinio segreto, il presidente deve preliminarmente valutare l’attinenza del voto alle norme costituzionali citate nel comma 4. Il presidente non decide sul voto segreto di per sé, ma solo sull’attinenza. Stabilita questa, ne viene l’applicazione del comma 4, e la conseguente verifica del supporto alla richiesta e l’indizione del voto segreto. Ma come si può ammettere lo scrutinio segreto per l’attinenza del voto ai diritti e alle libertà di una persona, quando lo si esclude perché una votazione non riguarda la persona? Ritenere ammissibile per l’art. 113 comma 4 uno scrutinio segreto precluso ai sensi dell’art. 113 comma 3 introdurrebbe nella disciplina regolamentare un’insostenibile aporia. L’unica possibile lettura sistematica è che l’attinenza ai sensi del comma 4 sia valutabile solo quando lo scrutinio segreto non sia escluso ai sensi del comma 3. Ad esempio, quando il voto ha ad oggetto una disciplina legislativa. Dunque che la ratio del parere della Giunta copre anche l’art. 113, comma 4. I noltre, la decadenza da una carica elettiva non tocca gli artt. da 13 a 32 della Costituzione, ma gli artt. 51, 65 e 66. Mancando l’attinenza, il presidente non deve verificare il supporto alla richiesta di voto segreto, ma indire il voto palese secondo la regola generale.

La vicenda si può e si deve chiudere. Berlusconi ha perso ogni misura, forse dimenticando che lo scudo dell’art. 68 Cost. comunque non opera nel caso di sentenza irrevocabile di condanna. Bisogna respingere con fermezza le sue parole eversive e ogni tentativo di inaccettabile baratto. E dire con altrettanta fermezza che tutti noi, favorevoli senza se e senza ma alla decadenza, non dobbiamo vergognarci di nulla. Salvo forse – come cittadini – del fatto che sieda ancora in parlamento.

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