Editoriale

Di Europa si muore

3 ottobre Nell’imminenza dell’anniversario della strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, sono molti gli organi d’informazione, compreso il nostro giornale, che si sono affrettati a ricordarla. Noi lo faremo qui nel […]

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 3 ottobre 2014

Nell’imminenza dell’anniversario della strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, sono molti gli organi d’informazione, compreso il nostro giornale, che si sono affrettati a ricordarla. Noi lo faremo qui nel modo più sobrio possibile. Non edulcoreremo l’ecatombe mediterranea soffermandoci su Sabir, il pur importante Festival in corso nell’isola fino al 5 ottobre, promosso dall’Arci, con il Comitato 3 ottobre e il Comune di Lampedusa.Né cederemo alla retorica del Mediterraneo quale luogo d’incontro fra popoli e culture: vuota e vana di fronte alla carneficina che si perpetua e moltiplica senza sosta.

Già dopo il naufragio del 3 ottobre – 366 vittime accertate, tutte eritree, e una ventina di dispersi/e – il “mai più”, ipocrita o sincero che fosse, si svuotò di senso in appena otto giorni: quando almeno altre 268 persone, di nazionalità siriana, fra cui molti bambini, morirono a sessanta miglia a Sud di Lampedusa, per il mancato soccorso delle autorità italiane. Quella somma di quasi 650 morti, che ci parve mostruosa, oggi non è che elemento d’una tragica progressione geometrica, quantificabile solo per largo difetto. Secondo l’Oim (l’Organizzazione internazionale per le migrazioni), nonostante Mare Nostrum, nei primi otto mesi di quest’anno sono morte nel Mediterraneo almeno 3.072 persone, cioè il 75% di tutte le vittime di migrazioni “clandestine” su scala mondiale. Una meta maledetta, l’Europa, se è vero che in quattordici anni è costata la vita a 22.400 migranti. Di Europa si muore e si morirà sempre più se niente interverrà a mutare la politica ottusa e crudele dell’Unione europea; se perdureranno conflitti, persecuzioni, povertà; se non ci sarà alcuna risalita dall’abisso funesto in cui sono sprofondati paesi come la Siria, l’Iraq, la Libia, l’Eritrea. Proprio mentre si pubblicava Fatal Journeys, il Rapporto dell’Oim, è a una specie di Maroni greco, l’ex ministro della Difesa Dimitris Avramopoulos, che l’Ue si apprestava ad affidare la delega per Immigrazione e Affari interni. Come ha denunciato Barbara Spinelli, “già l’accostamento di questi due portafogli appare inquietante”, per non dire della biografia politica di costui: egli è stato, tra l’altro, fiero sostenitore del muro di filo spinato nella regione dell’Evros, lungo la frontiera con la Turchia.
C’è da vergognarsi nel leggere il Rapporto dell’Oim: basta scorrere i grafici per constatare che l’Europa è largamente in testa alla classifica delle aree migranticide, per usare un neologismo appena coniato. Non solo per ovvie ragioni geografiche e per l’aumento vertiginoso di migranti che cercano di raggiungerla, ma soprattutto perché le politiche proibizioniste europee rendono i viaggi sempre più pericolosi. Se consideriamo la scala nazionale, le cose non vanno meglio. Ministro dell’Interno è ancora l’Alfano delle numerose, ciniche gaffe in occasione della strage del 3 ottobre. Affezionato alla Bossi-Fini, al reato di clandestinità e altri arnesi simili, egli è anche un fanatico di Frontex, tanto d’aver barattato Mare Nostrum con un Frontex Plus. Ci sarebbe da cedere allo scoramento. Eppure insistiamo. Per fermare questa guerra non dichiarata, non v’è altro se non: l’affermazione d’un diritto d’asilo senza confini; percorsi garantiti e sicuri che conducano in Europa le persone rese vulnerabili da conflitti e altre sciagure; l’effettiva libertà di movimento per chi chiede protezione in Europa; un sistema d’accoglienza rispettoso e sottratto alla logica dell’emergenza. E’ ciò che rivendicano, pur con accenti diversi, sia l’appello lanciato da Spinelli e altre/i, sia quello, più recente, promosso da Melting Pot-Europa.

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