Editoriale

Difetto collaterale

Difetto collateraleOspedale di Msf a Kunduz – Reuters

Dopo la strage Nato di Kunduz «Scusate tanto, è stato un errore», così i comandi dell’aviazione Usa e Nato si sono rivolti all’opinione pubblica afghana e internazionale e all’organizzazione Medici Senza Frontiere, dopo che i «nostri» […]

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 4 ottobre 2015

«Scusate tanto, è stato un errore», così i comandi dell’aviazione Usa e Nato si sono rivolti all’opinione pubblica afghana e internazionale e all’organizzazione Medici Senza Frontiere, dopo che i «nostri» cacciabombardieri, della nostra coalizione dei buoni, ha colpito ieri una, due tre volte l’ospedale di Kunduz che tutti conoscono, visibile da chilometri e nelle mappe di ogni amministrazione civile o militare. Assassinati 12 medici e 7 pazienti, anche bambini tra le vittime.

È la guerra afghana che dura più di quella del Vietnam, giustificata per vendicare l’11 settembre con decine di migliaia di vittime e nella quale gli effetti collaterali, vale dire le vittime civili dei raid aerei, sono stati un elemento strutturale del terrore «necessario» dei bombardamenti aerei. Con risultati politici determinanti, come la delegittimazione dell’alleato presidente Hamid Karzai, poi uscito di scena, che, dopo stragi con centinaia di morti e le proteste popolari sulle quali è cresciuto il ruolo dei talebani, si era scagliato contro il Pentagono, cioè l’ufficiale pagatore che lo teneva al potere.
Torna il paradigma della guerra mai conclusa. Un obiettivo della destra americana neocon che appare più che realizzato. Il mondo torna a slabbrarsi lì dove «ci stiamo ritirando, la pace è fatta».

C’è la Siria al centro, no torna l’Afghanistan e di Iraq meglio tacere, com’è meglio oscurare lo smacco in primo luogo italiano in Libia. Aumentano i deserti chiamati pace e la disperazione umana che fugge senza meta verso un immaginario Occidente, ricco ma crudele e responsabile delle tragedie in corso.

È così, gli «effetti collaterali» afghani riverberano sul presente della crisi in Siria l’intero specchio delle stragi commesse dall’alto di migliaia di piedi, dal cielo – è l’eroismo dei top gun, quello di non scendere sul campo con gli stivali dopo la propaganda negativa delle bare di rientro dei militari occidentali. Ma come si fa a raccontare ancora la favola degli errori o meglio degli «effetti collaterali»?

Se per colpire ipotetici terroristi – così ora «giustifica» l’alleato il governo di Kabul -– si bombarda dentro una città intera con missili Cruise e micidiali Cluster bomb? Ora Kunduz resterà come una macchia, ancora impunita, sulla fedina sporca del militarismo umanitario, l’ideologia bellicista che domina l’Occidente democratico. Con in più stavolta l’evidenza di avere fatto strage dell’umanitario vero che legittimamente opera sul campo, come Medici Senza Frontiere o come è già accaduto per Emergency.

Il fatto è che la guerra e le armi invece dell’effetto appaiono sempre più come il difetto collaterale e nascosto di un Occidente impegnato nei diktat economici per la govervance globale del capitalismo rimasto.

A dominare, per chi vuole vedere, è lo specchio delle malefatte che si rifrangono una dentro l’altra. Che impedisce perfino ad Obama di parlare serenamente e strategicamente della guerra in Siria, ancora raccontata come il campo dei raid nostri «buoni» (che tutt’al più fanno appunto «effetti collaterali») e quelli cattivi, russi (che uccidono civili); dove ci sarebbe un terrorismo «combattente e buono», organizzato dalla Cia e che quindi non va colpito, e quello cattivo del «nemico» Isis, ormai target comune. Dimenticando che per entrambi c’è stata la coalizione degli «Amici della Siria» che grazie ai fondi dell’Arabia saudita e delle petromonarchie del Golfo, ha acceso il fuoco di quel conflitto da almeno tre anni. E infatti Obama non ci riesce, non riesce ad uscire dal militarismo umanitario ed è costretto a subire l’intervento russo che – sempre sanguinoso è, non dimentichiamolo – spariglia almeno la partita e si muove per una soluzione che non può essere, nemmeno in Siria, militare. E mentre è all’ordine del giorno la Siria, Obama è costretto a vedere che c’è in casa, negli Stati uniti, un nemico che fa più vittime del Califfato: il terrorismo domestico di una guerra civile strisciante americana che fa 11mila morti l’anno.

Meglio non vedere questo difetto collaterale allora. E silenziare – avete visto un giornalone ancorché giustizialista che ne parli? – il fatto che da ieri l’Italia, con Spagna e Portogallo, sia per un mese il «campo di battaglia»» delle più grandi manovre militari Nato – la stessa dei raid sull’ospedale di Kunduz – dalla caduta del Muro di Berlino. Pronto a nuove avventure, distruzioni e spese militari. Finché c’è guerra c’è speranza.

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