Cultura
Direzione d’orchestra come atto politico
CLAUDIO ABBADO Il 15 e il 16 ottobre un convegno internazionale al Teatro alla Scala. Cominciati gli studi dei famosi «foglietti», dove riassumeva le forme delle opere, mandate a memoria. Lo si è accusato di essere asciutto, logico, prudente nelle interpretazioni, a discapito dell’abbandono. La sua italianità è quella che proviene dalla lezione di Piero della Francesca
Claudio Abbado, foto di LaPresse
CLAUDIO ABBADO Il 15 e il 16 ottobre un convegno internazionale al Teatro alla Scala. Cominciati gli studi dei famosi «foglietti», dove riassumeva le forme delle opere, mandate a memoria. Lo si è accusato di essere asciutto, logico, prudente nelle interpretazioni, a discapito dell’abbandono. La sua italianità è quella che proviene dalla lezione di Piero della Francesca
Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 10 ottobre 2021
La propensione anti-innica di Claudio Abbado, la sua riluttanza alle derive troppo sentimentali mentre cercava, piuttosto, la delicatezza immateriale, hanno donato al suo dirigere il soffio del sublime, tipico della grande arte. Qualunque epoca stesse interpretando, mi è spesso apparso (persino in certe sue pettinature giovanili) come una reincarnazione di quei pittori del Rinascimento italiano che progettavano i propri dipinti con lirica ingegneria, consegnando ai posteri opere in cui ogni dettaglio era in relazione col tutto. Abbado era leonardesco. Sarà stato un musicista danubiano nella scelta del repertorio, ma, malgrado i tanti anni trascorsi tra le brume germanofone, nel suo...