Editoriale

È il momento di superare i «campi nomadi»

Emergenza Rom(a) 8000 cittadini, 1000 famiglie, lo 0,23% della popolazione della Capitale che vive oggi in 7 «villaggi attrezzati» (4.200 presenze) 8 «campi tollerati» (1.300 presenze), 3 «centri di raccolta» (680 presenze), […]

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 30 settembre 2014

8000 cittadini, 1000 famiglie, lo 0,23% della popolazione della Capitale che vive oggi in 7 «villaggi attrezzati» (4.200 presenze) 8 «campi tollerati» (1.300 presenze), 3 «centri di raccolta» (680 presenze), 100 «insediamenti informali» (1.800 presenze). Questi sono i numeri della “questione rom” a Roma.
Sempre più spesso la politica definisce «emergenze» quel che non riesce a governare. L’«emergenza nomadi» ha consentito negli anni scorsi di avere più fondi, di adottare atti in deroga alle leggi, di creare allarme sociale e utilizzarlo in chiave elettorale. Una questione che sconta scelte emergenziali risalenti a inizio anni ’90 e che di recente ha trovato l’accelerazione verso il baratro con il ministro Maroni e il sindaco Alemanno.
Oggi che questa politica adottata da amministrazioni di centrosinistra e di centrodestra è stata dichiarata illegittima dai tribunali, l’Italia ha adottato la Strategia nazionale di inclusione, recependo le linee guida della Commissione europea, che indicano chiaramente l’obiettivo del superamento dei campi rom.
È ora che l’Amministrazione adotti una strategia nuova. Sarà dolorosa per l’indotto (elettorale ed economico) ma grazie alle esperienze in altre città italiane ed europee sappiamo che è possibile. Basta volerlo.
Attualmente non c’è un piano per i «campi formali» né per i «campi informali». C’è il mantenimento e la gestione dei «villaggi attrezzati» creati in passato e dei centri di accoglienza, divenuti luoghi di residenza di fatto, come quello di Via Visso, dove il comune spende milioni per tenere 300 persone in cinque stanze senza finestre. Ci sono poi gli interventi di sgombero che, slegati da ogni misura di inclusione, hanno effetti controproducenti sotto ogni punto di vista.
Permane di fatto un sistema di campi – per durata e indotto – unico in Europa. Nonostante riguardi 1200 famiglie, non 5mila o 10mila! Tutto ciò solo a Roma comporta un impiego di risorse pubbliche pari a 25 milioni di euro (solo nel 2013) con risultati disastrosi di inclusione sociale, lavorativa, abitativa.
L’obiettivo della nuova strategia dovrà essere chiaro sin dall’inizio: la conversione delle risorse impiegate per la gestione dei campi, e dei servizi annessi, in percorsi concreti di carattere abitativo e lavorativo per il superamento e chiusura dei “campi nomadi”. È ora di affrontare questo problema come si affrontano nelle grandi città i problemi abitativi dei baraccati, degli indigenti, al di là della loro etnia, con soluzioni come l’housing sociale e la fine della discriminazione nell’accesso alle case popolari per i cittadini italiani di etnia rom che ora vivono nei campi . E accedendo ai fondi europei per progetti mirati all’inclusione, cosa che al momento la Capitale non fa. Il successo di questa strategia si tradurrà nell’impiego di risorse sempre meno onerose destinate alla «gestione dei rom».
Il contributo che il convegno «Superare i “campi” per soli Rom a Roma: una sfida vicina», organizzato dall’Associazione 21 luglio per mercoledì 1 ottobre presso la sala Rosi dell’Assessorato alle Politiche Sociali di Roma Capitale (viale Manzoni 16) va proprio in questa direzione.
* Consigliere comunale radicale a Roma

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