Editoriale

È notte in Israele, l’estrema destra dilaga

È notte in Israele, l’estrema destra dilagaAvigdor Lieberman

Netanyahu e Lieberman L’esercito diventa l’elemento moderato rispetto a una popolazione aizzata e in preda all’isteria

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 21 maggio 2016

«Pericolosi estremisti si stanno impadronendo del governo e del paese»: questo titolo non è nostro, né di qualche sinistrorso o traditore della patria (israeliana). La frase fa parte del discorso pronunciato ieri da Moshe «Bogi» Yaalon, ministro della difesa di Israele, dimissionario. Il dicastero passerà – se le trattative vanno in porto – all’estremista e ultrà Avigdor Liberman.

Yaalon non ha accettato la carica di ministro degli esteri che Benjamin Netanyahu gli avrebbe offerto e ha rinunciato anche al suo seggio in Parlamento, che sarà occupato da Yehuda Glik, personaggio centrale nella campagna per la ricostruzione del Tempio sacro (per gli ebrei) al posto della moschea Al Aqsa.

Come si è arrivati a questa «soluzione» negli sforzi di Netanyahu per allargare la coalizione governativa? Per molti mesi, il premier e i suoi rappresentanti hanno portato avanti trattative segrete con i laburisti, soprattutto con il loro leader Herzog. Le conversazioni non erano poi così segrete, ne erano circolate alcune versione, e nelle ultime settimane sono diventate pubbliche.

I laburisti? Herzog? Ma non era quell’opposizione che doveva lottare contro il malgoverno del premier? Sì, però…il senso della responsabilità nazionale, la preoccupazione per il futuro, e soprattutto le grandi possibilità diplomatiche che si sarebbero dischiuse per il paese con l’ingresso dei laburisti nel governo…Insomma Herzog e i suoi si sono accodati allegramente al premier. Le poltrone governative come prova del progresso politico dell’opposizione.

Nella fase del negoziato, si sono mossi nell’ombra alcuni illustri intermediari, preoccupati per la pace in Medioriente. Sembra aver giocato un ruolo centrale l’ex primo ministro britannico Tony Blair, sodale e architetto di George W. Bush nella guerra «di liberazione» dell’Iraq, grande artefice del neoliberismo con vaselina socialdemocratica. Si è pronunciato a favore dell’idea anche John Kerry, frustrato nei suoi tentativi di far avanzare il cammino negoziale fra israeliani e palestinesi. Ecco poi le dichiarazioni del presidente egiziano al Sissi (pare previa consultazione con Kerry): un lungo discorso a favore della ripresa dei negoziati israelo-palestinesi con il sostegno e il patrocinio di Egitto e di altri paesi arabi. Questo sembra aver disturbato un po’ l’intenzione francese di favorire dei passi un po’ più indipendenti dagli Stati uniti.

Il leader laburista Herzog, al culmine dell’eccitazione pseudo-pacifista, quando ha ascoltato il presidente egiziano ha preteso da Netanyahu un documento scritto circa l’accordo. Allora probabilmente il premier ha cominciato a spaventarsi pensando all’opposizione da parte dell’estrema destra nel suo partito e dei circoli ultranazionalisti e fondamentalisti in generale. Oltre al vero pericolo: una coalizione più moderata con un appoggio internazionale avrebbe potuto portarlo a passi «esagerati» tali da complicare i suoi rapporti con la base di estrema destra, ormai dilagante in Israele.

Nel frattempo gli inviati di Netanyahu negoziavano con Liberman, il quale mercoledì scorso convocava una conferenza stampa con un messaggio semplice e chiaro: «Il primo ministro è un baro, ma se volesse davvero un governo nazionale di destra, con queste condizioni: ministero della difesa, pena di morte, ecc., il mio telefono ce l’ha»… pochi minuti dopo Netanyahu lo ha chiamato.

Il «problema Yaalon» aveva già assunto importanza negli ultimi mesi. Attenzione: Yaalon è di destra, molto di destra, ma in una versione che comprende alcuni freni richiamantisi al realismo liberale. Negli ultimi lunghi mesi della terza intifada, l’esercito nei territori occupati si è comportato con moderazione maggiore di quella dei politici in Israele. Mentre a Gerusalemme è «normale» non consegnare per mesi i cadaveri dei palestinesi uccisi dalle forze di polizia in seguito ad atti terroristici o presunti tali «per non trasformare i funerali in manifestazioni politiche», o per punizione, o come dimostrazione di forza, nei territori l’esercito non solo ha fatto il contrario ma ha dichiarato in varie circostanze che l’Autorità palestinese svolgeva una funzione moderatrice, che era necessario aumentare il numero di palestinesi con permesso di lavoro in Israele, ecc.

L’esercito insomma è diventato un elemento moderato e moderatore rispetto a una popolazione la cui isteria è stata fomentata in misura strumentale rispetto alla radicalizzazione della destra. Il comandante dell’esercito ha anche provocato il disgusto dei leader della destra, quando ha chiesto pubblicamente il rispetto delle leggi in materia di uso delle armi contro chi attacca israeliani, e insinuando che alcuni – soprattutto in vari casi di azioni di polizia – esagerano e alimentano le violenze.

A Hebron, due palestinesi avevano attaccato senza successo alcuni soldati i quali avevano risposto uccidendone uno e ferendo l’altro; mentre quest’ultimo era per terra, un soldato certamente di ultradestra gli si era avvicinato e lo aveva assassinato. Purtroppo per gli estremisti, il crimine è stato ripreso e in poche ore le immagini si sono diffuse in tutto il mondo; l’esercito ha annunciato che si è trattato di un assassinio, il soldato è stato arrestato, il comandante e il ministro della difesa si sono pubblicamente impegnati a trascinare in giudizio l’omicida.

Dapprima anche Netanyahu ha condannato il fatto. Ma pochi giorni dopo tutta l’ultradestra salutava l’eroe, il deputato Lieberman si presentava alla prima seduta della corte per assicurare il proprio appoggio al soldato, e il ministro dell’educazione Benet si pronunciava nello stesso senso. A quel punto il premier ha provocato la costernazione generale telefonando al padre del soldato assassino per assicurargli «la condivisione del dolore e della preoccupazione di un padre…anche io sono padre di un soldato».

È poi arrivato il giorno della commemorazione dell’Olocausto. Il vicecomandante dell’esercito ha compiuto il crimine irreparabile che la destra non gli perdona: in un discorso brillante ed equilibrato ha espresso preoccupazione per il processo di imbarbarimento, estremismo e razzismo in corso in Israele; ha sottolineato la necessità di contenere queste derive– così simili a quelli verificatisi in Europa e Germania negli anni 1930 – prima che si arrivi alla tragedia. Il ministro della difesa ha apertamente difeso il diritto del generale Golan di esprimersi in materia di valori; il premier Netanyahu, al contrario, ha reagito con furia e lo ha pubblicamente ammonito. Quando, pochi giorni dopo, Yaalon ha nuovamente detto ai generali che devono sì obbedire al governo ma anche sentirsi liberi di esprimere i propri valori, Netanyahu lo ha chiamato per ammonirlo.

Lieberman, un estremista radicale di destra, colono nei territori occupati, potrebbe diventare nei prossimi giorni ministro della difesa di un governo di estrema destra. Il membro della Knesset Beny Begin, figlio del grande Begin, rispettato membro del partito Likud, ha detto che si tratta di una decisione delirante. Il presidente Riblin, anch’egli del Likud, ha espresso disappunto per la rinuncia di Yaalon, un grande patriota. Non pochi scrivono su Facebook che è stato un peccato che Hitler non abbia fatto fuori tutti i sinistrorsi israeliani o gli arabi.

I miasmi del razzismo si respirano ovunque. Intanto il leader dei laburisti imputa il fallimento delle trattative e la nomina di Lieberman a membri del suo partito alleati con la sinistra radicale! Israele è in piena festa del caos, in questo maggio 2016.

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