En attendant la Consulta
La legge elettorale attualmente in vigore prevede un sistema a base proporzionale con soglie di sbarramento in basso e con un premio di maggioranza (del 55% dei seggi) per la […]
La legge elettorale attualmente in vigore prevede un sistema a base proporzionale con soglie di sbarramento in basso e con un premio di maggioranza (del 55% dei seggi) per la […]
La legge elettorale attualmente in vigore prevede un sistema a base proporzionale con soglie di sbarramento in basso e con un premio di maggioranza (del 55% dei seggi) per la lista o la coalizione che abbia riportato il maggior numero di voti. Questo premio di maggioranza è, però, attribuito, per la camera, su base nazionale e, per il senato, su base regionale: ciò può condurre a risultati schizofrenici. Può cioè consolidare consolidare in misura massiccia, alla camera, una maggioranza pur esigua nel paese; e destabilizzare, al senato, una maggioranza anche consistente riscontrabile in sede nazionale: questo almeno quando le preferenze per la coalizione complessivamente prevalente si concentrino in un numero di regioni limitato. Può accadere, allora, che la lista contrapposta, minoritaria nel paese, benefici di un numero maggiore di «premi di maggioranza», così da rovesciare i reali rapporti di forza.
La Corte di cassazione, con una coraggiosa e lucida ordinanza, in un giudizio proposto da alcuni elettori volto alla difesa del diritto a consultazioni elettorali adeguate, ha sollevato questione di costituzionalità nei confronti di questa legge, per il motivo indicato e, inoltre, perché, attribuendo un premio di maggioranza del 55%, destabilizza il quorum di garanzia costituzionale della maggioranza assoluta (50% + 1 dei componenti), previsto, ad esempio, per l’elezione del presidente della Repubblica, per l’approvazione dei regolamenti parlamentari, per l’approvazione delle leggi di revisione costituzionale, in una delle due procedure possibili, etc. Perché, inoltre, attribuisce il premio di maggioranza senza aver riguardo ad una «soglia minima» di voti riportati dalla coalizione o dalla lista vincente. Questa censura deve essere intesa nel senso che tende ad eliminare, allo stato delle cose, il premio di maggioranza; spetterà al legislatore eventualmente ristrutturarlo, mentre una richiesta di questo tipo, ove rivolta al giudice costituzionale, sarebbe inammissibile, dato che eccederebbe i suoi poteri. Perché, infine, prevede l’elezione dei parlamentari secondo un ordine prestabilito (la famosa «lista bloccata»), senza aver riguardo alla preferenza degli elettori.
È opinione comune che questa legge elettorale sia insostenibile, atteso che, in poche parole, sacrifica troppe cose (alcune, forse, non suscettibili di esser sacrificate affatto ed altre oltre lo stretto necessario) all’obbiettivo della governabilità e, proprio nel garantire questo obbiettivo, fallisce miseramente.
Il problema è che stenta a prender corpo una via di riforma largamente condivisa, nonostante le sollecitazioni in questo senso, risalenti e ora ribadite, del presidente della Repubblica. È inevitabile, allora, si guardi alla udienza di discussione, fissata al prossimo 3 dicembre dal presidente della Corte, con interesse sempre maggiore. Quali potranno essere gli esiti delle accennate questioni?
Prima di arrivare al merito, la Corte costituzionale si troverà ad esaminare una imponente serie di eccezioni di inammissibilità (già preannunciata nelle discussioni della dottrina), che costituiscono anche, è inutile negarlo, una lusinga: la materia è incandescente (e lo prova la stessa difficoltà di trovare una via di riforma condivisa) e mettervi mano (sia pure in modi giuridici e non strettamente politici) può comportare anche mettersi al centro di polemiche.
Una prima eccezione potrebbe essere argomentata con riguardo al carattere ellittico del dispositivo dell’ordinanza con cui la Corte di cassazione propone le questioni di costituzionalità, dopo averle ampiamente discusse e motivate. L’eccezione è seducente, perché consentirebbe alla Corte costituzionale di evitare di decidere nel merito, evitando, inoltre, ogni presa di posizione impegnativa sulla natura e sul ruolo, nel sistema, del giudizio incidentale di legittimità costituzionale. Ma, almeno a sommesso avviso di chi scrive, l’eccezione è anche fragile: perché non tiene conto del fatto che il dispositivo di un atto del giudice deve essere interpretato alla stregua della motivazione e la motivazione, in questo caso, è chiara, precisa ed esauriente.
Una seconda eccezione può riguardare la natura ed i limiti propri di un giudizio incidentale. Secondo una giurisprudenza sempre ribadita in via di principio, la Corte esclude possa esser sollevata questione di costituzionalità in un giudizio di cui tale questione rappresenti l’unico oggetto: ove ciò accadesse, osserva la Corte, la questione non sarebbe più sollevata in via incidentale, ma, surrettiziamente, in via principale. Una linea ricostruttiva di questo tipo escluderebbe, in radice, azioni di accertamento in materia di diritti civili e politici (azioni, invece, ammesse largamente in tema di diritti patrimoniali), almeno quando la lesione del diritto passa attraverso una violazione di norma o principio costituzionale (e, dunque, nei casi più gravi). La Corte, del resto, ha, in non pochi casi, eluso questa massima giurisprudenziale. Mai, ad esempio, quando ha giudicato sulla legittimità dei decreti legislativi di esproprio, nell’ambito della riforma fondiaria o della cosiddetta «nazionalizzazione dell’energia elettrica», ha considerato quale ragione preclusiva del suo giudizio l’eventuale circostanza che questi decreti non fossero stati ancora portati ad esecuzione (e che, dunque, all’eventuale accertamento dell’incostituzionalità non potesse seguire una condanna alla restituzione).
Il fatto è che le azioni di accertamento della violazione di diritti costituzionali sono state ammesse dalla giurisprudenza della Suprema Corte federale Usa fin dalla seconda metà degli anni 50 del secolo scorso, dallo stesso giudice costituzionale federale tedesco e dai giudici costituzionali di altri paesi. Ricordo, in Italia, il pensiero di Calamandrei, Sandulli, in questo senso.
Ulteriori considerazioni rafforzano la tesi dell’ammissibilità. Il giudizio elettorale ha caratteri del tutto particolari, perché si fonda su un’azione popolare, proponibile, cioè, al di là di un interesse specifico dell’attore. Tale giudizio, come ha ritenuto di recente il giudice amministrativo (Consiglio di Stato, sez. V, 27 novembre 2012, n. 6002), può anche essere proposto con un’azione di accertamento (nel caso: sulla data delle elezioni per il rinnovo del consiglio regionale). La Corte costituzionale, con giurisprudenza consolidata, ritiene, comunque, non sindacabile, nei limiti della non manifesta arbitrarietà e ai fini dell’ammissibilità di questione incidentale, la valida instaurazione del giudizio da cui tale questione trae origine. Il procedimento dinanzi al giudice civile dovrebbe, comunque, continuare per la decisione sulle spese del giudizio. La stessa Corte costituzionale, nel declinare la proprio competenza a valutare la costituzionalità della legge elettorale vigente in sede di giudizio sul referendum, ha implicitamente prospettato la via di questioni di costituzionalità sollevate in via incidentale (sentenze 15 e 16/2008).
L’insieme di queste considerazioni inducono a sperare che anche questa eccezione di inammissibilità possa esser superata.
Difficilmente superabile, invece, sembra una eventuale eccezione di inammissibilità per la questione che concerne il carattere bloccato della lista dei candidati. Pur se le censure, in astratto, possono essere ragionevoli, facile sembra obbiettare che la pura dichiarazione d’incostituzionalità della disposizione impugnata lascerebbe sussistere un vuoto che non rimedia alle ragioni che la sosterrebbero e che la Corte difetta dei poteri necessari a ristrutturare, in uno dei possibili sensi, il sistema, non sussistendo «rime obbligate» (come si esprime una costante giurisprudenza) per eliminare il vizio lamentato.
Un volta superate le più radicali eccezioni di inammissibilità, la Corte dovrebbe giudicare nel merito, almeno per la parte che concerne il sistema elettorale complessivo. È opinione diffusa che, in questo caso, l’accoglimento sarebbe inevitabile. Il sistema di risulta, una volta eliminati i premi di maggioranza, verrebbe ad assumere carattere proporzionale, con forti soglie di sbarramento in basso.
Non è un sistema esaltante, ma certo migliore di quello in atto: perché, almeno, ragionevole e rispettoso delle soglie di garanzia costituzionale. Il legislatore, ovviamente, è sciolto dai vincoli di un giudizio di costituzionalità e potrà sempre offrire soluzioni migliori, senza urtare i limiti segnalati in questo giudizio.
Mi auguro che la Corte abbia il coraggio di arrivare a tanto.
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