Editoriale

L’Europa che vorrei, i desideri di un paesologo

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L’Europa che vorrei è una comunità che si prende cura delle sue donne e dei suoi uomini. A Montemiletto un ragazzo chiede di parlami in privato. Mi spiega con voce […]

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 25 maggio 2014

L’Europa che vorrei è una comunità che si prende cura delle sue donne e dei suoi uomini.
A Montemiletto un ragazzo chiede di parlami in privato. Mi spiega con voce tremante che ha un contratto di lavoro che si rinnova il lunedì e scade il venerdì. Deve procurare abbonati telefonici. se non procura niente il contratto non viene rinnovato.

L’Europa che vorrei si apre sul Mediterraneo come sempre è stato, lo guarda come una porta sul mondo e non come una proprietà da gestire.
A Cuma non c’è stato bisogno di dire molte parole. Ci siamo fatti guidare dalla potenza dei luoghi.

È una politica rivoluzionaria, molto lontana da certi lembi della sinistra che intendono la rivoluzione solo nel fatto di rompere i coglioni a qualcuno. La rivoluzione è una cosa che esige grandezza d’animo e apertura alla bellezza, altrimenti è solo l’ennesimo giochino dell’odio.

L’Europa che vorrei non ha confini, non ha campi di accoglienza, non ha permessi di soggiorno, non ha barriere, non espelle, non rispedisce a casa i profughi, non li abbandona a morire in mare, non presidia le coste, non spende enormi quantità di denaro per difendersi da nemici che non esistono più.
La piazza di Melpignano lucida sotto il sole come una spiga di grano. Qui anche guardare è un canto: ogni persona che ci passa dentro in bicicletta pare un santo.

L’Europa che vorrei è un posto nel quale la cultura, e la cultura umanistica in particolare, è fondamentale, un posto in cui la storia, l’arte, la creatività contano quanto la tecnologia e l’industria. É un luogo che non distingue tra aree depresse ed aree sviluppate perché ha una nuova idea di sviluppo che non è solo economia, non è solo sfruttamento, non è solo Pil, ma qualità della vita, solidarietà, unione vera e forte e convinta.

La grande piazza di Montesarchio, la pioggia che mi ha impedito di fare il comizio ad Ercole, il rosso immaginario dei vasi antichi nelle carceri del castello, la pioggia che sputa l’inverno della pasqua, i poeti i sala, il mio parlare, i giovani ragazzi di Sel, la signora che mi saluta con gli occhi commossi, partire verso casanova di carinola, la strada da montesarchio a caserta con le case al posto degli alberi le insegne al posto delle foglie, arrivare in un bar, mettere qualche parola nel muro della giovinezza che si ammucchia per non piangere, vagare nella notte ad Afragola puntare su Nola e trovarsi a pomigliano, andare, andare nel buio di una felicità che non immaginavo. Forse ho davvero imparato a guardare e quando arrivo a casa do un ultimo sguardo agli alberi di noce. Il mio testamento è pronto, a chi rimane sulla terralascerò una sola parola: guarda!

L’Europa che vorrei ha dimenticato le crociate e le persecuzioni e le guerre e i trattati di pace sempre infranti, non vuol più sentire parlare di questioni nazionali, di separatismi, di patria e di identità. É un luogo nel quale le regole esistono ma sono regole giuste, condivise. É un luogo di bellezza. Un luogo che offre un esempio nuovo di vivere insieme, una rivoluzionaria e sorridente frontiera per il viver comune, per l’umanità. Uno schiaffo al sistema dell’utile e del commercio di beni e persone, uno schiaffo fastidioso e pungente, ma ora più che mai necessario.

Un prete a Bisaccia mi avvicina e mi dice con dolcezza che mi vota. Due minuti dopo fa la stessa cosa un ragazzo disoccupato. Resto in piazza. si avvicina un anziano e mi stringe la mano in silenzio. A fatica mi reggo in piedi. Il mondo lo sa quello che ho fatto in questi anni. Ciascuno a suo modo, lo hanno capito in tanti.

L’Europa che vorrei è attenta ai suoi giovani, al loro futuro e investe nella loro istruzione, nella formazione, gli permette di spostarsi davvero, di studiare in Italia e di lavorare in Francia, in Germania senza che si sentano fuori posto, lontani da casa. Li fa sentire parte di una società che non valuta le persone per il loro conto in banca, per la casa che possiedono, per il quartiere in cui abitano, per quanto guadagnano.

Il disordine di Afragola mi fa simpatia, non quello di Avella. Quello che tolleriamo in altri luoghi non lo tolleriamo in altri. L’aria che c’è nei bar a Vallata è molto diversa da quella che c’è a Trevico, cinque chilometri più in alto. Misteri di un Sud bipolare, misteri dei giri paesologici, esaltanti ed avvilenti.

L’Europa che vorrei rifiuta il cinismo freddo meccanico e disumano della finanza, della speculazione, del profitto, dello spread, dei numeri, si oppone a questo modello ormai vecchio e ammuffito. Lotta tutta insieme perché tutti abbiano una vita migliore, perché siano felici, perché crescano di numero, anche aprendo le frontiere, collaborando, mescolandosi con altre culture, imparando da esse.

* candidato per l’Altra Europa con Tsipras nella circoscrizione Sud

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