Expo, l’occasione (persa) di Pisapia
Expo e corruzione Sfilarsi dal progetto, scegliere il modello "fuori salone", decidere di seguire l’idea di Petrini sulla trasformazione del parco agricolo di Milano. Invece ha vinto la colata di cemento
Expo e corruzione Sfilarsi dal progetto, scegliere il modello "fuori salone", decidere di seguire l’idea di Petrini sulla trasformazione del parco agricolo di Milano. Invece ha vinto la colata di cemento
Come per De Magistris, Zedda e Doria anche il sindaco Pisapia era stato eletto sull’onda di una mobilitazione straordinaria per partecipazione, entusiasmo, creatività. Pisapia doveva porre fine alle malefatte di Letizia Moratti. E tra quelle tante malefatte la peggiore è senz’altro l’Expò: un “Grade evento” fatto di “Grandi Opere” che non hanno alcuna giustificazione se non distribuire commesse, incassare tangenti e tenere in piedi un comitato di affari impregnato di corruzione e di mafia che aveva già devastato la città per anni. Si badi bene: le tangenti sono una conseguenza e non la causa.
Se ci fossero solo le tangenti, il territorio non ne riceverebbe danni irreparabili. Il vero danno sono le Grandi opere, la devastazione del territorio e delle relazioni sociali; e il modello di business di cui sono frutto, fondato sull’indifferenza per le esigenze delle comunità locali, sullo strapotere di banche e finanza, sul subappalto del subappalto, che apre le porte alle mafie, sul precariato (e ora anche sul lavoro gratuito) che hanno fatto dell’Expò il laboratorio dell’Italia di Renzi; e, ovviamente, anche sulla corruzione.
Avendo ereditato l’Expò dalla Moratti, Pisapia si era impegnato a renderla comunque meno pesante possibile. Ma ha tradito quel mandato. Non è in discussione la sua onestà, né la sua buona fede; lo sono le sue scelte. Appena insediato è stato trascinato a Parigi da Formigoni per sottoscrivere gli impegni con l’Ufficio Internazionale dell’Expò. Da allora l’Expò ha preso il posto dei progetti presentati in campagna elettorale, alcuni dei quali sanciti dalla vittoria di sei referendum cittadini (senza seguito). E con l’Expò ha cominciato a dissolversi quell’ondata di entusiasmo e di speranze che aveva portato Pisapia in Comune.
Oggi in città la partecipazione, che era stata la grande promessa di quella campagna elettorale, è a zero. E le forze che si erano impegnate per sostenerlo – e soprattutto i giovani, e tra i giovani i centri sociali – sembrano ormai orientate a non votare nemmeno più: per nessuno. E’ questo l’effetto peggiore di quel tradimento.Poteva andare diversamente? Certamente sì. Ma solo con un taglio netto nei confronti della cultura dominante: il pensiero unico; il refrain del “non c’è alternativa”.
L’osservanza dei vincoli di bilancio e del Patto di stabilità che strangola i Comuni per costringerli a svendere suolo, beni comuni e servizi pubblici locali; e a reprimere la partecipazione della cittadinanza. E tuttavia la Giunta non si è sentita le mani legate quando si è trattato di stanziare 480 milioni (ma forse molto di più, perché molte opere gravano su altre voci del bilancio) per fare l’Expò.
«Sarà un rilancio per l’economia per tutto il paese», ci hanno detto uno dopo l’altro Prodi, Berlusconi, Monti, Letta e Renzi. Ma c’è qualcuno che veramente ci crede? Gli ultimi Expò, con l’eccezione di Siviglia, sono stati un bagno di sangue per le città e i paesi che li hanno ospitati. «Sarà il rilancio dell’immagine dell’Italia nel mondo» ripetono. Sì, ma dell’Italia come il paese più corrotto dell’Ocse, e forse del mondo.
Lo si poteva capire dall’inizio. Due anni per negoziare l’organigramma senza nemmeno sapere che cosa fare veramente dell’Expò fanno capire a tutti qual era la posta in gioco. Adesso ci vogliono far credere che i manager al vertice dell’Expò erano ignari di tutto. Se davvero lo fossero, sono stupidi e incompetenti, e certo non meritano le centinaia di migliaia di euro del loro stipendio. Se non lo erano, com’è ovvio, non lo era neanche chi li ha messi lì.
Eppure Pisapia le alternative le aveva: quando si è insediato, bastavano 20 milioni di euro di penale (una “bazzecola” rispetto a quelli che ci costerà l’Expò) per sfilarsi dal progetto. Le ragioni per farlo non mancavano: nell’epoca di internet una esposizione universale è un’idea stupida; e da tempo le Expò sono bagni di sangue: si aspettano milioni di turisti straricchi dall’estero e poi bisogna fare appello alle visite scontate dei connazionali per risollevare un po’ i bilanci; d’altronde, “nutrire il pianeta” con una colata di cemento non è un’idea geniale o innovativa.
La seconda opzione era l’Expò diffuso (sul modello del “fuori salone” abbinato da anni alla fiera del mobile, che ha sempre molto successo). A Pisapia quel progetto glielo aveva messo in mano un gruppo di architetti, designer e urbanisti che ci lavorava da tempo (c’è anche una pubblicazione in proposito); sarebbe costato molto meno, non avrebbe comportato penali, e i soldi spesi sarebbero serviti per rendere più bella la città; ma più difficili e meno remunerative speculazione e corruzione.
La terza opzione era seguire i suggerimenti di Petrini: nutrire Milano per insegnare a nutrire il pianeta. Cioè promuovere la trasformazione del parco agricolo Sud Milano, il più grande d’Europa, in un giardino coltivato a frutta e ortaggi, per alimentare le mense gestite dal Comune (80.000 pasti al giorno); per promuovere una rete di Gas (gruppi di acquisto solidale, trasferendo a costo zero il know-how di chi un Gas lo sa fare, perché lo ha già fatto, a chi vorrebbe farlo e non sa da dove cominciare; magari con un pizzico di promozione); per insegnare a tutti a magiare meglio e a chi lavora la terra a trasformarla in vera ricchezza; e poi, portare i visitatori a vedere quel miracolo.
Invece si è scelto il cemento: per realizzare la cosiddetta “piastra” (un nome, un programma), cioè la sede espositiva dell’Expo, che all’inizio doveva essere un grande orto; localizzandola per di più, unico caso per tutte le Expò, su terreni privati da comprare a caro prezzo, per poi costruirci sopra tanti stand di cemento che dovranno poi essere demoliti. E si è scelto l’asfalto; perché per far arrivare i visitatori stranieri si è dato il via alla costruzione di tre autostrade periurbane, come se i milioni di visitatori cinesi, statunitensi e australiani attesi arrivassero in automobile da Brescia, Lodi o Varese. Naturalmente tutto in project–financing; ma in attesa dei soldi di privati e banche che non arriveranno mai, si è comunque provveduto a scassare il territorio in vari punti lungo le traiettorie di queste autostrade per mettere tutti di fronte al fatto compiuto: in qualche modo quei soldi dovranno saltare fuori, perché intanto il danno è fatto.
Dulcis in fundo, il progetto iniziale prevedeva un canale navigabile per farvi arrivare in barca i visitatori – le “vie d’acqua” – parallelo a un naviglio leonardesco, come segno di sfida tra “moderni” e “antichi”. Nel corso del tempo quel progetto si è trasformato in una fogna in cemento di due metri di larghezza, per far defluire le acque della fontana che ornerà la “piastra”. Poi si è deciso di interrarne una buona parte per far fronte alle proteste degli abitanti di alcuni quartieri. Ma il costo è rimasto immutato (80 milioni) e l’appaltatore pure (Maltauro, quello delle mazzette); anche se il progetto non sarà comunque pronto per l’Expo.
Poi c’è il “dopo”. Che fare di tutto quel cemento? Problema risolto: Formigoni e Maroni volevano farci le Olimpiadi. Ma Roma ha detto no. Pisapia ha ripiegato su uno stadio. Non che a Milano uno stadio, manchi. C’è; si chiama San Siro. Ma grazie a una legge approvata dal governo Monti oggi fare uno stadio vuol dire poter costruire alberghi, case, centri commerciali, parcheggi, discoteche e cinema multisala: cioè altro cemento. Finanziato dalle stesse banche che, per concedere i nuovi prestiti, prenderanno in garanzia, come fanno da tempo, i grattacieli vuoti già edificati con i prestiti precedenti, che quei costruttori, quasi tutti in bancarotta, non sono in grado di rimborsare.
Il problema vero che tutti i cittadini di Milano e d’Italia si pongono è invece questo: quante altre cose meravigliose si sarebbero potute fare con i miliardi dell’Expò? Ma è una domanda che a Pisapia non ha fatto nessuno.
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