Cultura
Faraj Bayrakdar, la poesia che rompe la gabbia dell’esilio
Intervista Parla lo scrittore siriano che è stato in stato di prigionia per 14 anni. «Il carcere ha un tempo vischioso, dalle intenzioni cattive perché interrompe la vita. Simile a un inferno dantesco»
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Intervista Parla lo scrittore siriano che è stato in stato di prigionia per 14 anni. «Il carcere ha un tempo vischioso, dalle intenzioni cattive perché interrompe la vita. Simile a un inferno dantesco»
Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 30 gennaio 2018Edizione 30.01.2018
Rifugiatosi in Scandinavia nel 2005, Faraj Bayrakdar trova l’ispirazione poetica durante il periodo di detenzione in Siria. Nel 2016 viene tradotta la sua prima raccolta, Il Luogo Stretto (Nottetempo), composta a memoria nella prigione di Tadmur; ora è la volta di Specchi dell’assenza (Interlinea, pp. 120 euro 12; traduzione di Elena Chiti; ), antologia scritta tra il ‘97 e il 2000 che tratteggia i volti del carcere. Questo triennio è l’ultimo di una prigionia durata 14 anni: arrestato per la prima volta nel ’78 con l’accusa di affiliazione al partito d’opposizione, Faraj Bayrakdar viene scarcerato e poi nuovamente arrestato. Dall’87...