Giulio Regeni, rompere il silenzio
Giulio Regeni, il testimone La Farnesina dichiari l’Egitto paese non sicuro
Giulio Regeni, il testimone La Farnesina dichiari l’Egitto paese non sicuro
«Nessuno dimentichi Regeni». Chiare ed inequivocabili le parole di ieri del presidente della repubblica Mattarella che ha alzato la voce per chiedere verità sul caso del ricercatore italiano ucciso al Cairo. «Non dimenticare la sua passione e la sua vita orribilmente spezzata – ha detto – Mattarella al Meeting nazionale delle scuole per la pace di Assisi – Fare memoria è un atto di pace che, sono convinto, aiuterà queste giornate di Assisi a produrre nuovi frutti».
Ecco il punto: fare memoria come atto di pace. Mentre fin qui il silenzio è assoluto e assordante da parte del governo italiano che tace, con uno «smemorato» o indaffarato sui tweet, Matteo Renzi; così come non avvertiamo proteste o nette prese di posizione del ministro degli esteri Paolo Gentiloni. E questo dopo sei giorni dal rientro, dopo l’importante atto politico-diplomatico del richiamo, dell’ambasciatore italiano al Cairo Maurizio Massari a seguito del fallimento annunciato del vertice di Roma tra investigatori italiani e quelli egiziani. E dopo ben quattro giorni dal discorso violento ed aggressivo del generale-presidente egiziano Al Sisi.
Un discorso il suo – fatto in parlamento e in diretta tv – probabilmente inaspettato dal governo italiano, ma di una gravità senza pari.
Che va ben oltre le «tradizionali» messe in scena e i noti depistaggi: ha infatti difeso i servizi di sicurezza del regime, gettando ogni responsabilità sui media egiziani.
E pensare che Al Sisi aveva cominciato il suo discorso sia ricordando che l’Egitto attribuisce al caso di Giulio Regeni un «grande interesse, in quanto abbiamo relazioni molto privilegiate con gli italiani», sia con una quasi ammissione di colpa: «Noi egiziani abbiamo creato un problema con l’assassinio». In realtà ha continuato con una arrogante quanto convinta autodifesa dell’apparato egiziano a partire dai servizi di sicurezza che non sono «responsabili dell’omicidio», rivendicando invece «un’inchiesta condotta con la massima trasparenza». I colpevoli del brutale assassinio dell’italiano sarebbero per Al Sisi «gente malvagia» non meglio specificata, e media e social network che avrebbero«fabbricato la crisi» legata all’omicidio: «Bisogna smetterla – ha intimato – con le bugie e con le illazioni che qualcuno di noi mette in giro».
No, non è la «solita» giravolta o smentita sempre arrivate dalle sedi del governo del Cairo, come per le prove e i presunti effetti personali di Giulio Regeni apparecchiati dal ministero degli interni egiziano su un piatto d’argento, come l’accusa – che torna – ai cinque malviventi uccisi che, naturalmente, non parlano più; oppure il «Regeni, caso isolato» ripetuto fino alla provocazione dal ministro degli esteri Shukry. Il discorso di Al Sisi è una sfacciata rivendicazione. Per questo ogni ritardo da parte del governo italiano a rispondere con una azione diplomatica alta, è tempo perduto. E invece se vogliamo la verità per Giulio Regeni, non c’è tempo da perdere. Soprattutto se consideriamo il richiamo dell’ambasciatore un salto di qualità e non un espediente buono per coprire le troppe credenziali che Renzi ha dato ad Al Sisi. Ogni iniziativa, di fronte all’arroganza del generale-presidente egiziano, deve rendere evidente il proposito dell’Italia di rivedere in profondità – senza necessariamente romperle – le relazioni diplomatico-consolari tra i due Stati. Dalla pressione sui flussi turistici, alla cooperazione tra università, sport, programmi culturali e ricerca. Comporta un costo per l’Italia? Certo, ma dobbiamo sapere che vale anche per il governo egiziano ed è il timore che non fa dormire sonni tranquilli al generale-presidente. Anche se alla sua porta al Cairo bussano gli alleati francesi e britannici che, a parole in sede Ue, promettono impegno per la verità su Giulio Regeni.
La Farnesina, attraverso l’unità di crisi, deve dichiarare l’Egitto «Paese non sicuro». Non è sicuro per migliaia e migliaia di egiziani così come è stato per Giulio Regeni – il «giovane contemporaneo» ha detto la madre – sequestrato, torturato e ucciso. Come può esserlo per tanti turisti, lavoratori, studenti e ricercatori italiani e europei che vogliano recarsi in Egitto?
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